domenica 22 gennaio 2012

San Precaria e la sindrome del figlio Messia

Donna. Che vuol dire? Non esiste l'identità di genere, ognuno di noi è molto più che donna o uomo o trans ecc. ecc. realizzarsi nella propria identità è missione che deve prescindere dai recinti di genere.
Ma va là. Storicamente e culturalmente tu sei. Biologicamente pure, sebbene questa sia la parte più difficile da definire con certezza, al contrario esatto di quel che si pensa di solito.

E' la cultura il punto. La cultura è la nostra natura. Donna, resto donna e come donna devo essere ancora femminista q.b.
E fin q.b.?
Già.
Donna quindi difendi i tuoi diritti.
Donna quindi, meglio, LOTTA per i tuoi diritti - riconquista quelli perduti, conquista quelli ancora non ottenuti.
Ecco, ora è più realistico.
Lotta anche per qualcosa che è ben al di là, e prima, del diritto. La mentalità, la psiche dei singoli. Gli occhi di chi ti guarda. La voce di chi ti parla. La bocca di chi parla e sorride.

Bene. Donna. E ancora madre, però. Certo. Ovvio. Madre come? Quando? Quanto? Il punto è là.
Tu, trentenne, col tuo bagaglio di critiche a tua madre e al suo femminismo e al suo socialismo falliti fraintesi e malriusciti, non ti sei smossa di un sanpietrino da lei quanto a teoria, e se parliamo della pratica, hai solo altri trenta anni davanti per provare a fare di meglio. Che è ciò che ci si aspetta da te non come tuo merito, ma come logica conseguenza di circostanze benevole.

Bene. Donna madre femminista bisessuale e transgender. Occidentalofila e autocritica fino a prova contraria, col dubbio aperto che studi seri di economia politica non possano convincerti semplicemente della malvagità del capitalismo e amen, e il proposito onestamente un po' velleitario di chiudere questo dubbio prima di chiudere la tua esistenza (come se avessimo il potere di decidere quando si chiude, ma almeno questa illusione lasciamotela).

Bene. Ma a voler essere tutte queste cose, a dover essere tutte queste cose non ricaschiamo nel cyborg frenetico e distante da sé che deve lavorare per il laico dover essere autonoma e indipendente, ma anche essere una buona educatrice per la propria prole, il che in uno stato con un finto Welfare significa 16 ore di lavoro al giorno? Un'educatrice voglio essere, più che una mamma. A fare le mamme sono brave tutte e si sa, le mamme non sbagliano mai.

Io voglio che lei dica: ho avuto fortuna che mia madre sia stata proprio questa persona qui. Mi ha dato cose che un'altra non poteva darmi. Mi ha dato ciò che mi serviva. Ciò che serviva a me per come sono. Mi ha dato un'alta qualità umana e di relazione. Grazie alle quali sono cresciuta meglio di quanto non mi avrebbe fatto crescere il semplice amore di mamma.
Ecco cotanta ambizione.

Folle, se si pensa che sto ancora facendo il paro e lo sparo a 32 anni se il mio vivere della rendita di un affitto anziché del mio lavoro sia una mossa furba ed eticamente corretta alla San Precario -  della serie mo' ti faccio vedere io come rigiro la frittata convertendo la necessità in virtù, e non dipenderò da lavoro salariato per sbattermi tra le umilianti ambizioni di quei pochissimi e incredibilmente troppi scribacchini italofoni e le umilianti automortificazioni della Topolinia bibliografica - o una qualsiasi delle tante, pallide forme di bamboccionismo cattosudista, mafioso e postdiccino.
Questione non da poco da ritrovarsi irrisolta, se consideriamo le ambizioni educative di cui sopra.

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