Donna. Che vuol dire? Non esiste l'identità di genere, ognuno di noi è
molto più che donna o uomo o trans ecc. ecc. realizzarsi nella propria
identità è missione che deve prescindere dai recinti di genere.
Ma va
là. Storicamente e culturalmente tu sei. Biologicamente pure, sebbene
questa sia la parte più difficile da definire con certezza, al contrario
esatto di quel che si pensa di solito.
E' la cultura il punto. La cultura è la nostra natura. Donna, resto donna e come donna devo essere ancora femminista q.b.
E fin q.b.?
Già.
Donna quindi difendi i tuoi diritti.
Donna quindi, meglio, LOTTA per i tuoi diritti - riconquista quelli perduti, conquista quelli ancora non ottenuti.
Ecco, ora è più realistico.
Lotta anche per qualcosa che è ben al di
là, e prima, del diritto. La mentalità, la psiche dei singoli. Gli occhi
di chi ti guarda. La voce di chi ti parla. La bocca di chi parla e
sorride.
Bene. Donna. E ancora madre, però. Certo. Ovvio. Madre come? Quando? Quanto? Il punto è là.
Tu,
trentenne, col tuo bagaglio di critiche a tua madre e al suo femminismo
e al suo socialismo falliti fraintesi e malriusciti, non ti sei smossa
di un sanpietrino da lei quanto a teoria, e se parliamo della pratica,
hai solo altri trenta anni davanti per provare a fare di meglio. Che è
ciò che ci si aspetta da te non come tuo merito, ma come logica
conseguenza di circostanze benevole.
Bene. Donna madre femminista bisessuale e transgender. Occidentalofila e
autocritica fino a prova contraria, col dubbio aperto che studi seri di
economia politica non possano convincerti semplicemente della malvagità
del capitalismo e amen, e il proposito onestamente un po' velleitario
di chiudere questo dubbio prima di chiudere la tua esistenza (come se
avessimo il potere di decidere quando si chiude, ma almeno questa
illusione lasciamotela).
Bene. Ma a voler essere tutte queste cose, a dover essere tutte queste
cose non ricaschiamo nel cyborg frenetico e distante da sé che deve
lavorare per il laico dover essere autonoma e indipendente, ma anche
essere una buona educatrice per la propria prole, il che in uno stato
con un finto Welfare significa 16 ore di lavoro al giorno? Un'educatrice
voglio essere, più che una mamma. A fare le mamme sono brave tutte e si
sa, le mamme non sbagliano mai.
Io voglio che lei dica: ho avuto fortuna che mia madre sia stata proprio
questa persona qui. Mi ha dato cose che un'altra non poteva darmi. Mi
ha dato ciò che mi serviva. Ciò che serviva a me per come sono. Mi ha
dato un'alta qualità umana e di relazione. Grazie alle quali sono
cresciuta meglio di quanto non mi avrebbe fatto crescere il semplice
amore di mamma.
Ecco cotanta ambizione.
Folle, se si pensa che sto ancora facendo il
paro e lo sparo a 32 anni se il mio vivere della rendita di un affitto
anziché del mio lavoro sia una mossa furba ed eticamente corretta alla
San Precario - della serie mo' ti faccio vedere io come rigiro la
frittata convertendo la necessità in virtù, e non dipenderò da lavoro
salariato per sbattermi tra le umilianti ambizioni di quei pochissimi e
incredibilmente troppi scribacchini italofoni e le umilianti
automortificazioni della Topolinia bibliografica - o una qualsiasi delle
tante, pallide forme di bamboccionismo cattosudista, mafioso e
postdiccino.
Questione non da poco da ritrovarsi irrisolta, se consideriamo le ambizioni educative di cui sopra.
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