venerdì 26 ottobre 2012

Portarsi nel cambiamento

E' un po' che ho in corpo questo post.
Stamattina ho fatto una consulenza bellissima, che è stata la molla per scriverlo.
Valeria e Letizia, due donne piene di intelligenza, dolcezza e ironia, con i loro piccoli. E' stato proprio bello e stimolante conoscerle e poter trasmettere loro il sapere del portare.
Grazie a Letizia poi, che è ginecologa, ho fatto una scoperta: la tecnica del triplo sostegno, con tre lembi di tessuto incrociati sul corpo del bambino, riproduce la muscolatura dell'utero. Fatta per contrarsi nel modo ottimale, ma anche per sostenere, avvolgere, contenere il bambino. Una coincidenza indovinata, o un sapere di chi inventò la fascia lunga? :)


Torno a questo blog dopo una lunga assenza, in cui le cose si sono, come sempre, trasformate.
Mi sono trasformata io, nelle idee e nella vita.

Ho ripreso a fare il lavoro che amo, nella burrasca delle incertezze e sotto il tiro incrociato delle sfiducie, eppure con la leggerezza e la convinzione dei miei capelli bianchi. La mia nonna amata è volata via, dopo tanto lottare. Mia madre ha voltato una pagina fondamentale della sua - e anche nostra - vita. Mia figlia ha iniziato il nido. 

Sono rimasta pluralista e convinta che ognuno trova il suo approccio giusto alla genitorialità, ma ho capito che in entrambi dei due cosiddetti 'estremi' le persone sono spesso convinte di essere pluraliste. (Non sempre: c'è anche chi rivendica il proprio 'estremismo' con orgoglio, e fa benissimo.) In definitiva, come quasi tutte le madri (e forse anche qualche padre) mi hanno ripetuto in questi mesi, la terza via non esisteva e non esiste. Esistono le sensibilità personali, i modelli (che ispirano oppure soffocano) e le correnti di pensiero.

Le mie scelte, la mia sensibilità e le mie riflessioni fanno di me una madre 'naturalista', o giù di lì: pannolini lavabili, babywearing, un anno a casa con mia figlia, ascolto empatico, pedagogia democratica e non violenta, allattamento 'prolungato' (smetteremo un giorno di chiamarlo così?), cosleeping, autosvezzamento... Ho fatto l'epidurale e non la rifarei, ma mi auguro che il diritto a sceglierla diventi una realtà, ho deciso di vaccinare mia figlia, non sono vegetariana e non vorrei esserlo, sono piuttosto fricchettona su molte cose (sì allo yoga, alla fitoterapia, al parto in casa) ma su altre no (no al lotus birth, all'omeopatia e al parto non assistito), ho fatto della maternità parte del mio mestiere e ne vado fiera, e continuo a essere femminista. Sono una natural mama a modo mio, non credo nel concetto di 'naturalità' eppure adopero la parola 'natura' in opposizione a 'cultura', per convenzione provvisoria, perché è quel che più si avvicina a quello che vorrei dire, che sento e che sento di voler fare.

Sento di voler sostenere l'allattamento materno e la genitorialità ad alto contatto. Al di là del mio personale stile e delle mie idee, che per alcuni sono troppo poco ortodosse e per altri sono da fanatica, sento che il mio ruolo è questo. Ed è questo che voglio fare e che faccio. Non è né giusto né sbagliato, è quello che sento giusto per me: poter sostenere altre madri e altri padri in quelle scelte che io ho saputo più adatte alla mia famiglia e che magari sono le stesse scelte che farebbero loro, se avessero più sostegno, più motivazione e riconoscimento culturale e le informazioni giuste.

A settembre mi sono certificata consulente del Portare con la direttrice Antonella e la sua assistente Manuela. E con tante altre meravigliose donne, come Claudia e Federica. Sto lavorando ora attivamente nel Gaaf ed è una gran fortuna, perché l'esperienza e l'entusiasmo con cui promuove l'allattamento ha tutto da insegnarmi, e l'anno prossimo diventerò una peer counselor anche io. In rete, poi, in quel mondo selvaggio che è Facebook, ho conosciuto altre madri che hanno voglia di condividere la loro esperienza e il loro sapere e farne opportunità di incoraggiamento e sostegno per gli altri, donne intelligenti ed energiche come Serena, Glores, Valentina ed Elena.

E trasformandomi, nella danza continua tra movimento e stabilizzazione, ora mi sento un po' più abbracciata e portata anche io :)





















venerdì 29 giugno 2012

Latte materno "bene comune"? Parliamone



E' stata lanciata una campagna importante: quella in difesa del latte materno dai contaminanti ambientali, che recenti studi hanno individuato a livelli sempre più pericolosi. Faccio parte di una delle associazioni che promuovono questa campagna, che trovo sacrosanta e di cui condivido obiettivi e strategie. Tuttavia non posso fare a meno di interrogarmi sulla frase di apertura del manifesto:

Il latte materno è un Bene Comune di inestimabile valore.

Convinta che il compito di un'associazione a sostengo dell'allattamento e delle madri in puerperio sia anche quello di affrontare il tema della maternità a 360 gradi, ho proposto alcune riflessioni all'interno della mia associazione, e le ripropongo qui nel blog.
Il latte materno è un bene per la salute del bambino e della madre di immenso valore, e indirettamente
certo, un "bene comune" perché la buona salute del singolo ha dirette conseguenze sociali. Però in questo senso non è più "bene comune" del pancreas o delle gambe o degli occhi della madre, o di qualsiasi individuo. Di cui ella o esso ha il diritto a veder tutelata la salute. Eppure nessuno di noi parlerebbe di gambe, o del sangue, come di un "bene comune" (seppure gli organi e il sangue si possono donare).

Quel che mi preoccupa è il fatto che in questa definizione si perda il concetto, fondamentale, che il latte appartiene alla madre e a nessun altro, che il latte appartiene al suo corpo. Non è banale scegliere le parole adatte, perché la ricaduta è sia etica, che legislativa, che politica. Questa riflessione mi pare essenziale perché tutto il tema della maternità e della sua tutela (che mi sta
profondamente a cuore) entra sempre più in conflitto, attualmente, con il tema dell'autodeterminazione della donna e della parità di genere.

Nel mondo anglosassone, come al solito, sono molto più avanti di noi (che per lo più litighiamo tra fazioni opposte ed estreme) ed esiste già da tempo una riflessione profonda e articolata portata avanti da madri femministe che si interrogano ogni giorno su come costruire una cultura condivisa della maternità (intesa come parte di una cultura della genitorialità) che vede con simpatia l'"alto contatto" (descritto come attachment parenting secondo le teorie di Sears) e che tenga conto, contemporaneamente e parallelamente, dei diritti delle donne, delle loro rivendicazioni e delle loro lotte, ancora oggi drammaticamente necessarie.

Per chi conosce l'inglese, invito a leggere questi tre articoli di una studiosa che ha un bellissimo blog. Uno nel quale difende l'importanza delle campagne a sostegno dell'allattamento
(http://bluemilk.wordpress.com/2011/10/20/a-word-about-breastfeeding-nazis/)
un altro nel quale propone l'importanza del femminismo nella riflessione pedagogica
(http://bluemilk.wordpress.com/2010/07/29/why-attachment-parenting-needs-feminism/)
e il terzo infine in cui fa il punto della polemica espolsa negli USA,
e pure da noi, sulla copertina del Time,
quella dove
una mamma allatta al seno un bimbo di 3-4 anni
(http://bluemilk.wordpress.com/2012/05/21/feminists-a-little-perspective-please/).

Ecco, iniziare a parlare in Italia di "terza via" (non ci piace, ricorda il fascismo e Giddens), middle way, maternità femminista, maternità pluralista - anche solo iniziare a farlo, mi sembrerebbe una prima tappa fondamentale. A cominciare dalla riflessione sulla definizione di latte materno come bene comune.

lunedì 28 maggio 2012

Prima di essere una madre



Prima di diventare madre, avevo molte care amiche. (Ce le ho ancora, tranquilli.) Tutte diverse, per gusti, stili, idee. Certo nessuna di noi era esente da pregiudizi, mica siamo illuminate. Il pregiudizio più gettonato, comunque, era quello che divideva le persone tra intelligenti e sciocche. Noi eravamo quelle intelligenti, non serve precisarlo.
Chi erano le sciocche?

Quelle che non leggono mai.
Quelle che si rifanno le tette.
Quelle che stanno insieme a un tossicomane che le picchia per dieci anni e ci fanno due figli.
Quelle che non hanno mai saputo ribellarsi alla propria famiglia di origine e hanno seguito in percorso prestabilito che le ha rese infelici.
Le bigotte.
Le cattoliche integraliste.
Le varie versioni regionali e locali della ragazza pon pon.
Quelle che entrano in una setta.
Quelle prive di ironia e autoironia.
E ci sarebbero molti altri esempi.

Poi ci sono anche quelle antipatiche, che però sono una categoria trasversale di cui fanno parte alcune intelligenti e alcune sciocche, ma di questo non mi occuperò in questo post. Anche perché tanto mi stanno antipatiche.

Ovviamente, pur non essendo illuminata, non sono mai stata capace di essere troppo chiusa. Prevale la curiosità. Così i miei pregiudizi si sono nel tempo ammorbiditi e in verità in varie epoche della mia vita ho avuto tra le mie ottime amiche almeno una donna per ciascuna categoria. Non dubitando, peraltro, della sua intelligenza.

Ma da quando sono madre, tutto è cambiato. Si è semplificato.
I pregiudizi sono soltanto due.
Mammasantissima e mamma cattivissima.
Bando alle sfumature.
Dipenderà dal fatto che la maternità lascia poco tempo alle sottigliezze, altrimenti dette seghe mentali?

Prima di essere una madre, sembrava che tutte noi donne, amiche, anche quando molto diverse l'una dall'altra, fossimo un po' tutte nella stessa barca.
Educate a farcela nella vita, possibilmente da sole e non alle dipendenze di un maschio.
Consapevoli di quanto sia difficile, in questi anni, farcela da sole, senza maschio ma anche col maschio (che pure da solo, non ce la fa).
Romantiche, sognatrici, libertine, idealiste, tormentate tra barbie, Marx, Philip Roth e Twin Peaks.
La cultura in cui siamo cresciute accoglieva in sé un bel po' di contraddizioni, ma ci dava anche gli anticorpi per elaborarle.
Con la voglia di avere un corpo, e quella di non essere vittime di stereotipi estetici.
Con disturbi alimentari, problemi di dipendenze.
Con voglia di vivere e capacità di uscire dai momenti bui grazie al sapersi prendere sul serio il giusto, né troppo né troppo poco, e al momento giusto.
Alcune determinatissime e vincenti, altre molli, incespicanti. Alcune esplosive e disperate, altre pacate e solide. Tutte più o meno capaci di parlare di sé, almeno un po'. Almeno quanto basta.

Poi ognuna aveva e ha il suo stile.
Una fa yoga, l'altra segue Osho. Un'altra ridacchia dietro a tutto ciò che sa di new age, ma una pastiglia omeopatica se la prende pure. Un'altra trova la catarsi scrivendo, un'altra ballando il tango. A una piaccioni i bambini, l'altra li detesta. Una gira solo in bici nell'inferno di Roma, è vegana e anarchica. Un'altra è quadro in una azienda importante, ha avuto il lavoro dei suoi sogni e ha voluto un bel matrimonio tradizionale. Una è diventata cattolica a più di trent'anni, un'altra manco morta si avvicinerebbe a un tempio, nemmeno nel matrimonio della sua migliore amica.

Ma ci siamo sempre sentite unite. Dalle letture in comune, dalle stesse canzoni, dai posti dove siamo cresciute, da genitori che erano amici prima di noi, dai film e dai telefilm, dalla storia, quella grande, che ha trascinato noi piccole piccole dall'infanzia all'età adulta.

E non ci è mai venuto in mente di dividerci in categorie, come donne, tra quella ecologica e naturale, spirituale e decrescente, e quella razionale e anticlericale, femminista e progressista.

Prima di essere madri eravamo un po' di tutto questo. A giorni alterni, su fronti alterni. Chi più e chi meno. Ognuna alla ricerca della sua misura, unica e irripetibile, senza sindacare quella delle altre. Tutte certamente irritate all'idea di venir definite per gruppi di appartenenza. Semmai anzi animate dall'ansia di differenziarci.

Ho guardato indietro alle mie amiche e me, prima che io, e qualcuna di loro, avessimo dei figli, e ho capito una volta di più quanto sono folli e ridicole le due categorie attraverso cui ci definiamo come madri.

E' questo il vero appiattimento dell'identità. Nessun femminismo sarà di nuovo possibile finché, come madri, ci sentiremi costrette a prendere posizione in base a questi due modelli di maternità.

Dedico questo post alle mie amiche che non sono madri. Sarei curiosa di capire ai loro occhi, questa guerra, come appare.

mercoledì 16 maggio 2012

Sante naturali o puttane artificiali?



Stamattina mi sono alzata mezz'ora prima della sveglia, col magone e una domanda:

Ma a noi donne, cosa ce ne importa di schierarci nella guerra tra ostetriche e anestesisti?

Cosa ce ne viene?

Nel mondo della Sanità italiana pare che nessuno si batta per una visione integrata del parto, dove epidurale garantita e umanizzazione siano obiettivi alleati e non nemici.

Nella Sanità ogni fazione ha i suoi interessi.

Fuori dalla Sanità se ne parla poco, e chi ne parla lo fa sposando una o un'altra tifoseria.

E mi si dice: occorre schierarsi, perché una parte ha già perso, e l'altra ha già vinto. (Perché arriveranno altri tagli, l'epidurale è l'ultima cosa in agenda e le pratiche di contenimento alternative prenderanno il sopravvento per ragioni nobili e meno nobili.)

E dalla parte delle donne, chi ci sta?

Come sempre, nemmeno le donne.

Chiamate a una scelta demente, come quella tra sante e puttane. Frutto di una cultura arretrata e povera.

Io non ho il tempo, né lo stile ficcante, né il pelo sullo stomaco per essere l'unica a portare avanti un'idea che mi pare la scoperta dell'acqua calda, su un tema di cui non frega nulla a nessuno.

Io ho il magone, la frustrazione, la rabbia e una domanda: cosa fare, in concreto, per cambiare la situazione?

martedì 8 maggio 2012

L'epidurale e gli altri diritti del parto

In Italia sappiamo che l'epidurale è disponibile solo nel 16% di ospedali (il dato non è aggiornatissimo ma pare sia l'unico disponibile). Tra i tristemente pochi che ne rivendicano il diritto, c'è chi tende a opporre la comprovata scientificità di questa tecnica partoanalgesica alla dubbia scientificità del discorso "partonaturalista", ovvero quello che insiste sull'importanza del "parto naturale", discorso che, dal canto suo, tende a osteggiare l'epidurale e la medicalizzazione del parto tout court anche in contesti di rivendicazione del diritto alla salute e all'autodeterminazione delle donne. 

In questo post cerco di spiegare perché, dopo aver letto quanto più potevo capire da non addetta ai lavori e da semplice cittadina con una formazione umanistica, mi sono convinta del fatto che l'epidurale garantita e gratuita e il parto umanizzato debbano essere oggi due obiettivi sinergici e non contrapposti l'uno all'altro.

lunedì 19 marzo 2012

Nella testa del papà





Quando ero piccolo mio padre c’era poco, in casa. E non solo per lavoro, ho sempre saputo che non ci teneva a stare con noi. Quando c’era, non mi parlava. Quando parlava era severo e spiccio. Lo si diceva un uomo molto intelligente, ma con me e mia madre era duro e superficiale al tempo stesso. Nessuna sensibilità che sapesse cogliere le sfumature delle nostre vite, nessuna attenzione capace di profondità. Lei invece attutiva tutto, se lo scrollava di dosso, e difendeva il più possibile l’integrità della sua dolcezza.

Io soffrivo in modo bestiale. Avevo dentro un magma che avrei voluto eruttare, o che stesse sopito per sempre. Le emozioni, maledette, mi facevano imperatore o schiavo a loro capriccio. E soffocavano la mia intelligenza, che volevo superiore a quella di mio padre, per schiacciarlo, per liberarmi. Volevo cambiare il mondo, ma c’era in me qualcosa, una mitezza, una morbidezza, che rallentava ogni mio slancio. Era fragilità? O forza? Ero troppo saggio per competere in un mondo mediocre, o ero troppo mediocre per prevalere in un mondo spietato?

mercoledì 14 marzo 2012

Prima le donne o i bambini? Mamma secchiona studia Badinter

Dalla gravidanza in poi ho letto molto, libri e Internet, e ho molto commentato in rete. Mi facevo tutte quelle domande: dove partorire? il dolore ha una funzione? saprò sopportarlo? l'epidurale fa male? come andrà l'allattamento? quanto a lungo allattare? dove è meglio far dormire mia figlia? Che ne sarà della mia individualità? E del lavoro? eccetera. Ho cercato risposte, non mi sono accontentata delle prime che arrivavano. Poi mi sono fatta una mia idea. Un'idea in fondo assai semplice. Che maternità e femminismo sono temi strettamente legati (e non perché ogni donna debba essere madre) e che oggi, nonostante i disastri, per la prima volta nella storia le madri hanno l'occasione, se vogliono, di rivendicare una maternità vissuta con pienezza e al tempo stesso i diritti sociali, politici ed economici per assicurarsela senza dover rinunciare alla propria realizzazione professionale. In pratica, la conciliazione. Non ho detto, attenzione, che oggi noi madri possiamo aspirare alla conciliazione: è quasi impossibile in tempi di crisi economica, venti liberisti, economie emergenti senza tutele del lavoro, smantellamento del nostro welfare.

Dico però che la cultura nella quale siamo immerse, la disponibilità dell'informazione e del confronto, possono portarci a un maggior grado diffuso di consapevolezza sull'importanza di temi diversi. Per esempio delle tematiche pedagogiche, e dunque sul valore di offrire ai figli una qualità e una quantità di presenza e attenzioni che le generazioni passate credevano superflue. E ancora, dell'ecologia, che ci spinge a ridurre e riformulare i consumi. Della salute sessuale e riproduttiva delle donne, delle politiche sanitarie e non a essa legata, di quanto conti in questo amibito un approccio rigoroso ma interdisciplinare che consideri corpo, psiche ed etica. Del femminismo, che non smette di essere attuale in un mondo dove le donne sono ancora un gruppo umano terribilmente discriminato dall'altro gruppo umano, quello degli uomini, e non solo con l'uso della violenza o col vilipendio dell'immagine che sono i modi più denunciati, ma soprattutto in termini di diritti e di accesso all'indipendenza economica e dunque, in termini di dignità.

La consapevolezza organica a cui oggi abbiamo accesso può essere frustrante, perché alla prova dei fatti molte madri (più che mai in Italia) si troveranno più o meno costrette a scegliere tra famiglia e lavoro, e questo indipendentemente dal modello di maternità a cui si sentono più vicine. Però non possiamo nemmeno ignorare che esista. Ed è da qui che dobbiamo partire per sognare, per lottare e per costruire un mondo migliore anche per le madri. Concentrarsi su un solo aspetto significa fossilizzarsi in logiche manichee e lobbistiche e non ci farebbe procedere di un millimetro.

Badinter Elizabeth è la sovrana di questa visione dualistica che mi fa impazzire e che è da abbattere: madri totali o madri indipendenti. Niente vie di mezzo. Una madre che promuove l'allattamento o è santa o è talebana, mentre una madre che si serve del biberon è egualitarista o snaturata. Vengono prima le donne o prima i bambini? E' una guerra. Ci sta fiorendo su una letteratura sterminata e forme anticonvenzionali ma striscianti di militanza politica di un segno e dell'altro. Al capolinea delle mie letture, ho deciso di applicare le 3 R - Riparo, riciclo e riuso anche alla bulimia bibliofila e all'ansia di ottenere un "sufficientemente buono" all'esame di madre. Ci ho fatto una tesina universitaria per uno dei miei ultimi esami, storia della psicologia. La professoressa si è complimentata, ma si è tenuta la lode. Sarà perché lei è di quelle che danno ragione a Elizabeth Badinter...

Pubblico qui il primo paragrafo e gli ultimi due - sintesi della questione posta dalla filosofa, cenni aggiornati alle scienze sociali e le mie personalissime conclusioni. Nel mezzo c'è quello che avete già letto ovunque: attachment parenting o farsi i polmoni, lettone o Estivill, dolore o orgasmo, casa o ospedale, casa o nido, fasce o carrozzine, natura o cultura, biberon, psicoanalisi o psicologia umanistica, donna o mamma, tacco o tetta e latte latte latte, fiumi di latte, la Scienza che è santa quando dice quel che penso io e che è compromessa e arida quando dice quel che vogliono gli altri. Essendo roba nota e arcinota, tralascio. Ma chi vuole può chiedermi la versione integrale, la mando volentieri.

Questo post partecipa al blogstorming


lunedì 20 febbraio 2012

Caro pediatra, lo svezzamento vegetariano è ok?


In periodo di svezzamento, tante domande e tanti dubbi sull'alimentazione da proporre a Pippi. E ovviamente, tante letture. 
Il saggio papà suggerisce di chiedere al pediatra: che il nostro ci è abbastanza simpatico, è un tranquillone, seda le ansie delle mamme con rimedi omeopatici, è poco interventista e bravo a rapportarsi col tipo di paziente che ha davanti, lavorando assai bene sull'effetto placebo contenuto nella rassicurazione! Quando gli abbiamo parlato dell'autosvezzamento ci ha fatto pat pat e i complimenti, dicendo che siamo bravi. Quando gli ho parlato del portare, mi ha detto di lasciarmi i suoi bigliettini. Quando gli ho chiesto se le mani sempre in bocca di Pippi segnalavano un dentino in uscita, ha ricordato la fase orale citando Brazelton ;) Insomma, fidiamoci. 
Voglio condividere qui nel blog la lettera che gli ho scritto, a beneficio di altri genitori che si stanno facendo le nostre stesse domande, o che se le faranno tra breve. Ovviamente farà seguito l'eventuale risposta del dottore!


Gentile dottor Placebo,

le scrivo per chiederle dei chiarimenti e un suo parere sull'alimentazione complementare e la sua introduzione per mia figlia, sua paziente, Pippi P., di 6 mesi e mezzo. Come sa, noi avevamo optato per un percorso di cosiddetto autosvezzamento, offrendo a Pippi il cibo della nostra tavola. Il percorso direi che è iniziato molto bene, abbiamo assecondato l'interesse della bimba al cibo, lei già mangia quasi tutta la porzione del pranzo e anche una merenda a base di frutta. L'allattamento (sempre a richiesta) continua in parallelo più o meno invariato, tranne che per la poppata del pomeriggio, il cui intervallo rispetto al pranzo è aumentato da 3 a 4 ore circa. Ho anche notato un'aumentata richiesta serale del seno, non so se per appetito o per bisogno di contatto, fatto sta che le ultime due poppate sono molto ravvicinate e a volte quasi ininterrotte, nel senso che magari smette di succhiare verso le 19, fa un sonnellino e dopo poco dal risveglio vuole succhiare di nuovo, per poi riaddormentarsi definitivamente intorno alle 22 - 22,30 (e dormire fino al mattino).

I miei dubbi riguardano il tipo di alimentazione da offrirle. In base alle indicazioni dell'AIRC e della piramide alimentare (http://www.airc.it/prevenzione-del-tumore/piramide-alimentare.asp), ho pensato che il suo svezzamento sarebbe stato anche un'ottima occasione per realizzare un miglioramento della nostra alimentazione: più cereali integrali oltre alla verdura e frutta che già consumiamo, e ridurre il consumo di carne a 1-2 volte alla settimana. A partire da questo proposito ho intrapreso qualche lettura sull'alimentazione vegetariana... e da lì sono sorti i dubbi che le propongo.

Il pediatra Luciano Proietti, nel suo libro Figli vegetariani sostiene quanto segue:

"Alla luce delle attuali conoscenze scientifiche non solo è possibile, ma è da incoraggiare la scelta di un’alimentazione vegetariana nel bambino.
Queste considerazioni sono il frutto di una lunga ricerca svolta dall’autore con l’ausilio del Centro di auxologia della Clinica pediatrica dell’Università di Torino e di una raccolta di dati sui bambini vegetariani italiani, in collaborazione con l’Associazione Vegetariana Italiana (AVI), la SSNV, Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana e i Centri di Nascita Naturale. Ne è risultata una banca dati con più di 2mila bambini cresciuti con una dieta lacto-ovo-vegetariana (la maggior parte) e lacto-vegetariana o vegana, in modo esclusivo almeno fino ai 3 anni e in molti casi mantenuta anche successivamente.
Un’alimentazione povera di proteine animali infatti, non solo è compatibile con le indicazioni dei LARN (Livelli di Assunzione Raccomandata dei Nutrienti), ma nei primi due, tre anni di vita dovrebbe essere l’alimentazione raccomandata essendo la più fisiologica e quindi la più salutare.
Negli anni successivi la dieta vegetariana e vegana può diventare anche uno spunto per invitare il bambino a riflettere e comprendere l’importanza del rispetto di se stessi, degli altri animali e dell’ambiente. Ecco perché la scelta vegetariana è un investimento in «salute» di proporzioni enormi per la società futura.
(http://www.meglioinsalute.com/Alimentazione/Lo-svezzamento-del-bambino.html#Alimentazione-vegetariana-nella-prima-infanzia)

Proietti imputa la paura di carenza di ferro che ha spinto all'introduzione della carne già nei primi mesi di vita del bambino proprio alla sostituzione del latte materno con il latte vaccino, più povero di ferro. Sostiene quindi che non è vero che il latte materno diventi insufficiente a partire dal sesto mese. Afferma inoltre che a riprova che per i bambini la dieta vegetariana è la più naturale, è la comparsa dei denti canini solo dopo l'anno e mezzo:

Il bambino è fisiologicamente, biologicamente vegetariano nei primi 2-3 anni di vita: l’unico cibo di derivazione animale fisiologico, è il latte della sua mamma o, in caso di assenza del latte materno, un latte adattato.
I canini, che indicano la potenziale capacità di masticare la carne, appaiono dopo i 18 mesi.
Allora perché si dà la carne (si consiglia vivamente, anche terrorizzando i genitori e in alcuni casi, minacciandoli di sanzioni) ai bambini a partire dal 5°-6° mese di vita? Per prevenire una possibile carenza di ferro. L’anemia da carenza di ferro si verificava spesso quando, negli anni Cinquanta il latte materno veniva sostituito con il latte vaccino fin del 3°- 4° mese di vita, per cui diventava necessario introdurre un cibo ricco di ferro biodisponibile, come la carne: era indispensabile però renderla digeribile e assimilabile, omogeneizzandola o liofilizzandola. Quando successivamente, negli anni Novanta si è riconosciuta l’importanza di non somministrare latte vaccino prima dei 12 mesi di vita, sostituendolo, in carenza di latte materno, con tipi di latte adattati, con quantità di ferro adeguati, non si è però modificata l’abitudine di consigliare la carne fin dal 5°-6° mese, anche se non c’era più il rischio della carenza di ferro.
Tratto dal corso con crediti ECM "Alimentazione vegetariana: aspetti generali" organizzato da SSNV, Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana tenutosi il 26,27 febbraio 2009 a Milano.

(http://www.meglioinsalute.com/Alimentazione/Lo-svezzamento-del-bambino.html)

Anche il Metodo Kousmine suggerisce di evitare di dare carne e pesce prima che spuntino i denti canini perché l’organismo non è pronto:

No alla carne fino alla dentizione (o quasi): fino ad oltre l’anno di età (comparsa dei canini): sono i denti della carne, perché dovremmo costringere l'organismo ad assumerla quando non è ancora attrezzato a farlo?
• Non è necessaria
• Sovraccarica apparato digerente e reni
• Produce sostanze cancerogenosimili: indoli, fenoli, scatoli, ecc.
• Acidifica
• Può dare origine alle nitrosammine in presenza di nitriti e nitrati
Eccezione: gravi ritardi della dentizione, per cui se non sono ancora comparsi i canini poco dopo l'anno, conviene cominciare ugualmente con la carne.

(http://www.kousmine.eu/page6/page23/page23.html)


Infine, l'oncologo Veronesi raccomanda a sua volta un'alimentazione vegetariana fin dalla prima infanzia:

"I bambini vegetariani, oltre a essere più sani, non sono affatto penalizzati rispetto ai loro coetanei onnivori", garantisce Veronesi, sulla base delle ricerche condotte sul tema. "Alcuni studi hanno osservato che i bambini vegani, che mangiano solo cibi vegetali, all'età di 10 anni sono circa 2,5 centimetri più bassi e da 2 a 4 chili più leggeri anni rispetto ai bambini onnivori - precisa - ma raggiungono questi ultimi al compimento del ventesimo anno. D'altra parte, la crescita sempre più veloce dei bambini onnivori non è salutare", avverte l'oncologo.
(http://it.notizie.yahoo.com/salute-veronesi-vegetariani-si-puo-e-si-deve-160700923.html)

Secondo queste teorie perciò:
- la dieta vegetariana è migliore e raccomandabile, o addirittura fisiologica
- il latte materno da solo potrebbe bastare fino a 3 anni senza temere carenze nutritive (lo sostiene Proietti).

Rivolgendomi alle fonti ufficiali, trovo conferme e smentite... Il Sito del Ministero della Salute scrive:

La motivazione di carattere nutrizionale più importante per svezzare un bambino è quella di fornirgli una fonte alimentare aggiuntiva di ferro rispetto al latte materno, il cui contenuto non basta più dopo i 6 mesi. Il latte materno da solo potrebbe non fornire abbastanza energia e nutrienti, con conseguente rallentamento della crescita e denutrizione. 8.3.2. Il latte materno da solo potrebbe non soddisfare le crescenti esigenze di alcuni micronutrienti, soprattutto ferro e zinco. (...) È invece assolutamente valida e attuale la raccomandazione di non esagerare, nella fase dello svezzamento, con l’offerta di cibi salati e ad alto contenuto proteico. Gli errori più comuni nella prima alimentazione sono dovuti infatti all’eccesso di formaggio, formaggini e carne, che appesantiscono il metabolismo del bambino e possono anche orientare le sue preferenze future verso un’alimentazione meno sana, perché iperproteica (con troppe proteine) e ipersodica (con troppo sale).
(Sito Web del Ministero della Salute - http://www.salute.gov.it/speciali/pdSpeciali.jsp?id=63&idhome=62&titolo=&sub=2&lang=it#tre Dott.Riccardo Davanzo Irccs - Ospedale Burlo Garofalo, Trieste)

Quindi:
- sarebbe falso che il latte materno basta anche dopo il sesto mese
- sarebbe vero che le proteine vanno ridotte (non solo quelle animali).


Le Linee Guida Europee sull'allattamento e svezzamento, sempre pubblicate sul sito del Ministero della Salute, dicono invece:

Le diete vegetariane escludono in varia misura prodotti animali; le diete vegan li escludono del tutto. La preoccupazione maggiore per queste diete riguarda il piccolo ma importante rischio di carenze nutrizionali. Queste includono le carenze di ferro, zinco, riboflavina, vitamina B12, vitamina D e calcio (specialmente per le diete vegan), oltre all’inadeguato apporto calorico. Queste carenze sono più probabili in individui con bisogni aumentati, come i lattanti, i bambini e le donne in gravidanza e durante l’allattamento. Sebbene l’inclusione di prodotti animali non garantisca automaticamente l’adeguatezza di una dieta, è più facile riuscire ad avere una dieta bilanciata con prodotti animali che senza. Una dieta vegetariana con uova, latte e derivati fornisce proteine di alta qualità ed è una buona fonte di vitamine del gruppo B e di calcio. Problemi possono insorgere con le diete vegan. Un bambino di 6–24 mesi con dieta vegan deve ricevere una grande varietà di proteine vegetali. Ogni pasto deve comprendere due fonti complementari di proteine, come legumi e grano, o riso e lenticchie. Una dieta vegan o macrobiotica molto rigorosa, specialmente se combinata con un consumo rigido di soli cibi naturali e biologici, può avere gravi effetti secondari e dev’essere scoraggiata durante il periodo di alimentazione complementare. Comporta un alto rischio di carenze nutrizionali e sono stati descritti casi di malnutrizione proteico–energetica, rachitismo, ritardo di crescita e ritardo dello sviluppo psicomotorio in lattanti e bambini.1
(http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1618_allegato.pdf)
 


Questo testo quindi dice che, in fase di svezzamento:
- una dieta vegetariana non è sconsigliata, ma nemmeno raccomandata come la migliore possibile
- una dieta vegana è sconsigliata
- in una dieta vegana bisognerebbe sempre consumare due fonti complementari di proteine a pasto, come cereali e legumi.

Le sarei grata se mi desse il suo parere sui vari punti che ho elencato sopra.
Inoltre: se effettivamente proponessi meno carne, o niente carne a mia figlia, con una dieta lacto-ovo-vegetariana, quante proteine dovrei darle per soddisfare il suo fabbisogno, senza però proporle un regime iper-proteico? Dovrei effettivamente darle cereali + proteine a ogni pasto, o questa indicazione varrebbe solo per la dieta vegana?

E ancora: devo allattare sempre mia figlia prima di proporle il cibo complementare?
Cosa faccio se lei mostrasse di voler sostituire tutti i pasti col cibo al posto del latte materno prima di aver compiuto un anno: la assecondo, o rallento il suo proposito?

La ringrazio se vorrà rispondermi a queste domande
Cordiali saluti
Lutlia

domenica 22 gennaio 2012

San Precaria e la sindrome del figlio Messia

Donna. Che vuol dire? Non esiste l'identità di genere, ognuno di noi è molto più che donna o uomo o trans ecc. ecc. realizzarsi nella propria identità è missione che deve prescindere dai recinti di genere.
Ma va là. Storicamente e culturalmente tu sei. Biologicamente pure, sebbene questa sia la parte più difficile da definire con certezza, al contrario esatto di quel che si pensa di solito.

E' la cultura il punto. La cultura è la nostra natura. Donna, resto donna e come donna devo essere ancora femminista q.b.
E fin q.b.?
Già.
Donna quindi difendi i tuoi diritti.
Donna quindi, meglio, LOTTA per i tuoi diritti - riconquista quelli perduti, conquista quelli ancora non ottenuti.
Ecco, ora è più realistico.
Lotta anche per qualcosa che è ben al di là, e prima, del diritto. La mentalità, la psiche dei singoli. Gli occhi di chi ti guarda. La voce di chi ti parla. La bocca di chi parla e sorride.

Bene. Donna. E ancora madre, però. Certo. Ovvio. Madre come? Quando? Quanto? Il punto è là.
Tu, trentenne, col tuo bagaglio di critiche a tua madre e al suo femminismo e al suo socialismo falliti fraintesi e malriusciti, non ti sei smossa di un sanpietrino da lei quanto a teoria, e se parliamo della pratica, hai solo altri trenta anni davanti per provare a fare di meglio. Che è ciò che ci si aspetta da te non come tuo merito, ma come logica conseguenza di circostanze benevole.

Bene. Donna madre femminista bisessuale e transgender. Occidentalofila e autocritica fino a prova contraria, col dubbio aperto che studi seri di economia politica non possano convincerti semplicemente della malvagità del capitalismo e amen, e il proposito onestamente un po' velleitario di chiudere questo dubbio prima di chiudere la tua esistenza (come se avessimo il potere di decidere quando si chiude, ma almeno questa illusione lasciamotela).

Bene. Ma a voler essere tutte queste cose, a dover essere tutte queste cose non ricaschiamo nel cyborg frenetico e distante da sé che deve lavorare per il laico dover essere autonoma e indipendente, ma anche essere una buona educatrice per la propria prole, il che in uno stato con un finto Welfare significa 16 ore di lavoro al giorno? Un'educatrice voglio essere, più che una mamma. A fare le mamme sono brave tutte e si sa, le mamme non sbagliano mai.

Io voglio che lei dica: ho avuto fortuna che mia madre sia stata proprio questa persona qui. Mi ha dato cose che un'altra non poteva darmi. Mi ha dato ciò che mi serviva. Ciò che serviva a me per come sono. Mi ha dato un'alta qualità umana e di relazione. Grazie alle quali sono cresciuta meglio di quanto non mi avrebbe fatto crescere il semplice amore di mamma.
Ecco cotanta ambizione.

Folle, se si pensa che sto ancora facendo il paro e lo sparo a 32 anni se il mio vivere della rendita di un affitto anziché del mio lavoro sia una mossa furba ed eticamente corretta alla San Precario -  della serie mo' ti faccio vedere io come rigiro la frittata convertendo la necessità in virtù, e non dipenderò da lavoro salariato per sbattermi tra le umilianti ambizioni di quei pochissimi e incredibilmente troppi scribacchini italofoni e le umilianti automortificazioni della Topolinia bibliografica - o una qualsiasi delle tante, pallide forme di bamboccionismo cattosudista, mafioso e postdiccino.
Questione non da poco da ritrovarsi irrisolta, se consideriamo le ambizioni educative di cui sopra.

martedì 3 gennaio 2012

Tutto sulla madre e libri che feriscono l'anima

Questo post è un breve aggiornamento di quello precedente. Sto proseguendo la lettura del libro della Gianini Belotti, che la scorsa settimana avevo letto solo a macchia di leopardo.

E' davvero un testo crudelmente straordinario per molti aspetti. Non solo per l'attualità e l'onestà intellettuale delle riflessioni, articolate in modo mai semplicistico e spesso anche autocritico tra un paragrafo e l'altro. E' interessante anche il modo in cui si propongono questioni effettivamente ormai datate (e occorre fare attenzione a riconoscerle) o temi sui quali non sono sufficientemente informata e che tendo a mettere a distanza, perché li riconosco come terribilmente, dolorosamente controversi.

La vasta e spietata teoria psicologica sul ruolo materno, tanto per fare un esempio, sempre in buona fede che sia portatrice di una tesi o di quella opposta, ma mai abbastanza consapevole del suo potere di ricattare le madri. Se è facile, nel libro della Belotti, riconoscere gli attori di strumentalizzazioni politiche ed ideologiche (i pediatri e la classe medica in generale, le case produttrici di latte artificiale e tutti i potentati di una società tendenzialmente maschilista, che piega al suo interesse qualsiasi movimento culturale, anche quelli nati nel segno dell'emancipazione femminile), è impossibile non riconoscere l'ambivalenza delle teorie psicologiche e perfino di quelle scientifiche nei confronti della 'libertà' della donna.

In un capitolo molto duro, la Belotti distrugge non tanto Bowlby quanto l'uso scientificamente improprio e ideologico che a suo parere se ne è fatto a partire dall'immediato dopoguerra, per respingere le donne a casa.

Nel capitolo sull'allattamento invece, l'autrice si può dire che non risparmi nessuno: né i sostenitori dell'allattamento materno né quelli dell'allattamento artificiale, dato che bacchetta i primi contestando gli argomenti del naturalismo, e i secondi evidenziando gli interessi tra potere pediatrico e farmaceutico. Difficile, da lettrice, non diventare paranoica.

La teoria della Belotti, allieva della Montessori e perciò legata a una pedagogia che che fa della bontà dell'istituzione il suo fiore all'occhiello (quanto inorridirebbe oggi davanti al concetto di homeschooling, senza sapere, forse, che gli stessi homeschoolers si rifanno in parte anche a pratiche montessoriane?), è che l'attaccamento positivo non si produce con la sola madre (e non ha fondamento biologico), ma anche con una molteplicità di figure di accudimento, e che è anzi meglio crescere accuditi da diverse persone come nelle culture tradizionali (vedi gli studi antropologici di Margaret Mead) o come al nido, che dalla sola madre o comunque da una persona sola.

Questo è un punto in cui il libro rivela la sua età e il dibattito mi appare un po' datato rispetto a quanto si legge più di recente, se non altro perché manca qualsiasi riferimento all'età del bambino - o meglio, pare scontato che la socialità di un bimbo di due mesi sia identica a quella di un bimbo di undici - e al solito, insistere nell'assumere un atteggiamento difensivo nei confronti di una teoria porta quasi automaticamente a diventare aggressivi proponendo la teoria opposta.

Infatti, conclusa la lettura, dopo due giorni di groppo in gola, ho realizzato di sentirmi in colpa perché non ho ancora inserito al nido mia figlia di 5 mesi, non sono tornata a essere economicamente produttiva, forse la sto soffocando tradendo le mie aspirazioni per pigrizia e scaricando tutto il peso economico sul papà e sulla mia famiglia di origine, e magari lo sto facendo nel totale fraintendimento dei suoi veri bisogni e solo perché proietto su di lei la mia insoddisfazione verso mia madre, quando in fin dei conti i miei problemi e le mie frustrazioni non sono colpa sua -  di mia madre - ma solo mia...

Spero si sia capito lo scopo di questo piccolo cameo autobiografico. Non c'è niente da fare, perfino un libro scritto tutto con la passione e l'intenzione di mostrare come tutta la società marci sul senso di colpa materno, non fa altro in fin dei conti che produrre a sua volta del senso di colpa materno!