lunedì 19 marzo 2012

Nella testa del papà





Quando ero piccolo mio padre c’era poco, in casa. E non solo per lavoro, ho sempre saputo che non ci teneva a stare con noi. Quando c’era, non mi parlava. Quando parlava era severo e spiccio. Lo si diceva un uomo molto intelligente, ma con me e mia madre era duro e superficiale al tempo stesso. Nessuna sensibilità che sapesse cogliere le sfumature delle nostre vite, nessuna attenzione capace di profondità. Lei invece attutiva tutto, se lo scrollava di dosso, e difendeva il più possibile l’integrità della sua dolcezza.

Io soffrivo in modo bestiale. Avevo dentro un magma che avrei voluto eruttare, o che stesse sopito per sempre. Le emozioni, maledette, mi facevano imperatore o schiavo a loro capriccio. E soffocavano la mia intelligenza, che volevo superiore a quella di mio padre, per schiacciarlo, per liberarmi. Volevo cambiare il mondo, ma c’era in me qualcosa, una mitezza, una morbidezza, che rallentava ogni mio slancio. Era fragilità? O forza? Ero troppo saggio per competere in un mondo mediocre, o ero troppo mediocre per prevalere in un mondo spietato?

mercoledì 14 marzo 2012

Prima le donne o i bambini? Mamma secchiona studia Badinter

Dalla gravidanza in poi ho letto molto, libri e Internet, e ho molto commentato in rete. Mi facevo tutte quelle domande: dove partorire? il dolore ha una funzione? saprò sopportarlo? l'epidurale fa male? come andrà l'allattamento? quanto a lungo allattare? dove è meglio far dormire mia figlia? Che ne sarà della mia individualità? E del lavoro? eccetera. Ho cercato risposte, non mi sono accontentata delle prime che arrivavano. Poi mi sono fatta una mia idea. Un'idea in fondo assai semplice. Che maternità e femminismo sono temi strettamente legati (e non perché ogni donna debba essere madre) e che oggi, nonostante i disastri, per la prima volta nella storia le madri hanno l'occasione, se vogliono, di rivendicare una maternità vissuta con pienezza e al tempo stesso i diritti sociali, politici ed economici per assicurarsela senza dover rinunciare alla propria realizzazione professionale. In pratica, la conciliazione. Non ho detto, attenzione, che oggi noi madri possiamo aspirare alla conciliazione: è quasi impossibile in tempi di crisi economica, venti liberisti, economie emergenti senza tutele del lavoro, smantellamento del nostro welfare.

Dico però che la cultura nella quale siamo immerse, la disponibilità dell'informazione e del confronto, possono portarci a un maggior grado diffuso di consapevolezza sull'importanza di temi diversi. Per esempio delle tematiche pedagogiche, e dunque sul valore di offrire ai figli una qualità e una quantità di presenza e attenzioni che le generazioni passate credevano superflue. E ancora, dell'ecologia, che ci spinge a ridurre e riformulare i consumi. Della salute sessuale e riproduttiva delle donne, delle politiche sanitarie e non a essa legata, di quanto conti in questo amibito un approccio rigoroso ma interdisciplinare che consideri corpo, psiche ed etica. Del femminismo, che non smette di essere attuale in un mondo dove le donne sono ancora un gruppo umano terribilmente discriminato dall'altro gruppo umano, quello degli uomini, e non solo con l'uso della violenza o col vilipendio dell'immagine che sono i modi più denunciati, ma soprattutto in termini di diritti e di accesso all'indipendenza economica e dunque, in termini di dignità.

La consapevolezza organica a cui oggi abbiamo accesso può essere frustrante, perché alla prova dei fatti molte madri (più che mai in Italia) si troveranno più o meno costrette a scegliere tra famiglia e lavoro, e questo indipendentemente dal modello di maternità a cui si sentono più vicine. Però non possiamo nemmeno ignorare che esista. Ed è da qui che dobbiamo partire per sognare, per lottare e per costruire un mondo migliore anche per le madri. Concentrarsi su un solo aspetto significa fossilizzarsi in logiche manichee e lobbistiche e non ci farebbe procedere di un millimetro.

Badinter Elizabeth è la sovrana di questa visione dualistica che mi fa impazzire e che è da abbattere: madri totali o madri indipendenti. Niente vie di mezzo. Una madre che promuove l'allattamento o è santa o è talebana, mentre una madre che si serve del biberon è egualitarista o snaturata. Vengono prima le donne o prima i bambini? E' una guerra. Ci sta fiorendo su una letteratura sterminata e forme anticonvenzionali ma striscianti di militanza politica di un segno e dell'altro. Al capolinea delle mie letture, ho deciso di applicare le 3 R - Riparo, riciclo e riuso anche alla bulimia bibliofila e all'ansia di ottenere un "sufficientemente buono" all'esame di madre. Ci ho fatto una tesina universitaria per uno dei miei ultimi esami, storia della psicologia. La professoressa si è complimentata, ma si è tenuta la lode. Sarà perché lei è di quelle che danno ragione a Elizabeth Badinter...

Pubblico qui il primo paragrafo e gli ultimi due - sintesi della questione posta dalla filosofa, cenni aggiornati alle scienze sociali e le mie personalissime conclusioni. Nel mezzo c'è quello che avete già letto ovunque: attachment parenting o farsi i polmoni, lettone o Estivill, dolore o orgasmo, casa o ospedale, casa o nido, fasce o carrozzine, natura o cultura, biberon, psicoanalisi o psicologia umanistica, donna o mamma, tacco o tetta e latte latte latte, fiumi di latte, la Scienza che è santa quando dice quel che penso io e che è compromessa e arida quando dice quel che vogliono gli altri. Essendo roba nota e arcinota, tralascio. Ma chi vuole può chiedermi la versione integrale, la mando volentieri.

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