mercoledì 22 maggio 2013

Portare comodi e sicuri, in modo etico e spendendo poco? Si può!



 


C'è chi ama avere tanti supporti, uno per ogni età del bimbo, o comprando e rivendendo per il piacere di sperimentare nuovi tessuti, legature e di godersi nuovi colori. C'è chi si affeziona al suo supporto e non riesce a separarsene (e se ne ha molti come me, magari va di accumulo!).









 
E c'è chi da una sola fascia lunga rigida, per definizione il top della versatilità, prende il massimo: come Margherita, che porta sua figlia Elvira dalla nascita con la sua ottima fascia in cotone bio, a trama diagonale e poco spessa, equosolidale (Altromercato), bella, comoda ed economica. Dalla posizione pancia a pancia sono passate al fianco, e presto sarà il turno della schiena.





Anche per il pagamento della consulenza abbiamo trovato una soluzione equosolidale e decisamente soddisfacente, e cioè la banca del tempo: un modo utile, economico, etico e sostenibile di scambiarsi competenze e condividere saperi.
Io faccio le consulenze a Margherita e alla sua bimba, lei mi insegna massaggio infantile ayurvedico e sublimi ricette vegane (ovviamente me le spiega mentre mangiamo!).

Win-win-win (inclusa Elvira, s'intende!)





domenica 10 marzo 2013

Tutte le altre


Ieri ho assistito alla presentazione bolognese di Di mamma ce n'è più d'una di Loredana Lipperini (Feltrinelli) condotta da Giovanna Cosenza e Wu Ming 1.
Quando, circa un anno fa, venni a sapere dalla sua bacheca Facebook che Loredana Lipperini stava scrivendo un libro sul tema della maternità in Italia, le scrissi subito, presentandole le mie preoccupazioni. E quelle preoccupazioni lei ha raccolto, riportandone fedele testimonianza nelle pagine del libro, assieme a tutte le voci che ha raccolto dalla rete e non solo.
Di questo libro spero di scrivere qui presto.
Intanto vale decisamente la pena di dire qualcosa sulla presentazione di ieri.
Piacevole, ricca e interessante come questo tema così generoso inevitabilmente pretende, ma in più serena senza il bisogno di essere banale, e questo lo trovo una rarità.
Perché, ha chiesto Loredana Lipperini, tutte le donne non si uniscono per rivendicare, insieme, tutti i diritti femminili, e non solamente quelli che rispondono alla propria visione dell'esperienza materna, "naturalista" o "modernista" che sia?
Perché non esiste un solo, forte movimento a protestare per i troppi cesarei in Sicilia e i troppo pochi in alcuni reparti del Nord, per il diritto all'epidurale negato e per il diritto al parto naturale negato, per i congedi parentali troppo brevi e per i troppo pochi asili nido?

venerdì 26 ottobre 2012

Portarsi nel cambiamento

E' un po' che ho in corpo questo post.
Stamattina ho fatto una consulenza bellissima, che è stata la molla per scriverlo.
Valeria e Letizia, due donne piene di intelligenza, dolcezza e ironia, con i loro piccoli. E' stato proprio bello e stimolante conoscerle e poter trasmettere loro il sapere del portare.
Grazie a Letizia poi, che è ginecologa, ho fatto una scoperta: la tecnica del triplo sostegno, con tre lembi di tessuto incrociati sul corpo del bambino, riproduce la muscolatura dell'utero. Fatta per contrarsi nel modo ottimale, ma anche per sostenere, avvolgere, contenere il bambino. Una coincidenza indovinata, o un sapere di chi inventò la fascia lunga? :)


Torno a questo blog dopo una lunga assenza, in cui le cose si sono, come sempre, trasformate.
Mi sono trasformata io, nelle idee e nella vita.

Ho ripreso a fare il lavoro che amo, nella burrasca delle incertezze e sotto il tiro incrociato delle sfiducie, eppure con la leggerezza e la convinzione dei miei capelli bianchi. La mia nonna amata è volata via, dopo tanto lottare. Mia madre ha voltato una pagina fondamentale della sua - e anche nostra - vita. Mia figlia ha iniziato il nido. 

Sono rimasta pluralista e convinta che ognuno trova il suo approccio giusto alla genitorialità, ma ho capito che in entrambi dei due cosiddetti 'estremi' le persone sono spesso convinte di essere pluraliste. (Non sempre: c'è anche chi rivendica il proprio 'estremismo' con orgoglio, e fa benissimo.) In definitiva, come quasi tutte le madri (e forse anche qualche padre) mi hanno ripetuto in questi mesi, la terza via non esisteva e non esiste. Esistono le sensibilità personali, i modelli (che ispirano oppure soffocano) e le correnti di pensiero.

Le mie scelte, la mia sensibilità e le mie riflessioni fanno di me una madre 'naturalista', o giù di lì: pannolini lavabili, babywearing, un anno a casa con mia figlia, ascolto empatico, pedagogia democratica e non violenta, allattamento 'prolungato' (smetteremo un giorno di chiamarlo così?), cosleeping, autosvezzamento... Ho fatto l'epidurale e non la rifarei, ma mi auguro che il diritto a sceglierla diventi una realtà, ho deciso di vaccinare mia figlia, non sono vegetariana e non vorrei esserlo, sono piuttosto fricchettona su molte cose (sì allo yoga, alla fitoterapia, al parto in casa) ma su altre no (no al lotus birth, all'omeopatia e al parto non assistito), ho fatto della maternità parte del mio mestiere e ne vado fiera, e continuo a essere femminista. Sono una natural mama a modo mio, non credo nel concetto di 'naturalità' eppure adopero la parola 'natura' in opposizione a 'cultura', per convenzione provvisoria, perché è quel che più si avvicina a quello che vorrei dire, che sento e che sento di voler fare.

Sento di voler sostenere l'allattamento materno e la genitorialità ad alto contatto. Al di là del mio personale stile e delle mie idee, che per alcuni sono troppo poco ortodosse e per altri sono da fanatica, sento che il mio ruolo è questo. Ed è questo che voglio fare e che faccio. Non è né giusto né sbagliato, è quello che sento giusto per me: poter sostenere altre madri e altri padri in quelle scelte che io ho saputo più adatte alla mia famiglia e che magari sono le stesse scelte che farebbero loro, se avessero più sostegno, più motivazione e riconoscimento culturale e le informazioni giuste.

A settembre mi sono certificata consulente del Portare con la direttrice Antonella e la sua assistente Manuela. E con tante altre meravigliose donne, come Claudia e Federica. Sto lavorando ora attivamente nel Gaaf ed è una gran fortuna, perché l'esperienza e l'entusiasmo con cui promuove l'allattamento ha tutto da insegnarmi, e l'anno prossimo diventerò una peer counselor anche io. In rete, poi, in quel mondo selvaggio che è Facebook, ho conosciuto altre madri che hanno voglia di condividere la loro esperienza e il loro sapere e farne opportunità di incoraggiamento e sostegno per gli altri, donne intelligenti ed energiche come Serena, Glores, Valentina ed Elena.

E trasformandomi, nella danza continua tra movimento e stabilizzazione, ora mi sento un po' più abbracciata e portata anche io :)





















venerdì 29 giugno 2012

Latte materno "bene comune"? Parliamone



E' stata lanciata una campagna importante: quella in difesa del latte materno dai contaminanti ambientali, che recenti studi hanno individuato a livelli sempre più pericolosi. Faccio parte di una delle associazioni che promuovono questa campagna, che trovo sacrosanta e di cui condivido obiettivi e strategie. Tuttavia non posso fare a meno di interrogarmi sulla frase di apertura del manifesto:

Il latte materno è un Bene Comune di inestimabile valore.

Convinta che il compito di un'associazione a sostengo dell'allattamento e delle madri in puerperio sia anche quello di affrontare il tema della maternità a 360 gradi, ho proposto alcune riflessioni all'interno della mia associazione, e le ripropongo qui nel blog.
Il latte materno è un bene per la salute del bambino e della madre di immenso valore, e indirettamente
certo, un "bene comune" perché la buona salute del singolo ha dirette conseguenze sociali. Però in questo senso non è più "bene comune" del pancreas o delle gambe o degli occhi della madre, o di qualsiasi individuo. Di cui ella o esso ha il diritto a veder tutelata la salute. Eppure nessuno di noi parlerebbe di gambe, o del sangue, come di un "bene comune" (seppure gli organi e il sangue si possono donare).

Quel che mi preoccupa è il fatto che in questa definizione si perda il concetto, fondamentale, che il latte appartiene alla madre e a nessun altro, che il latte appartiene al suo corpo. Non è banale scegliere le parole adatte, perché la ricaduta è sia etica, che legislativa, che politica. Questa riflessione mi pare essenziale perché tutto il tema della maternità e della sua tutela (che mi sta
profondamente a cuore) entra sempre più in conflitto, attualmente, con il tema dell'autodeterminazione della donna e della parità di genere.

Nel mondo anglosassone, come al solito, sono molto più avanti di noi (che per lo più litighiamo tra fazioni opposte ed estreme) ed esiste già da tempo una riflessione profonda e articolata portata avanti da madri femministe che si interrogano ogni giorno su come costruire una cultura condivisa della maternità (intesa come parte di una cultura della genitorialità) che vede con simpatia l'"alto contatto" (descritto come attachment parenting secondo le teorie di Sears) e che tenga conto, contemporaneamente e parallelamente, dei diritti delle donne, delle loro rivendicazioni e delle loro lotte, ancora oggi drammaticamente necessarie.

Per chi conosce l'inglese, invito a leggere questi tre articoli di una studiosa che ha un bellissimo blog. Uno nel quale difende l'importanza delle campagne a sostegno dell'allattamento
(http://bluemilk.wordpress.com/2011/10/20/a-word-about-breastfeeding-nazis/)
un altro nel quale propone l'importanza del femminismo nella riflessione pedagogica
(http://bluemilk.wordpress.com/2010/07/29/why-attachment-parenting-needs-feminism/)
e il terzo infine in cui fa il punto della polemica espolsa negli USA,
e pure da noi, sulla copertina del Time,
quella dove
una mamma allatta al seno un bimbo di 3-4 anni
(http://bluemilk.wordpress.com/2012/05/21/feminists-a-little-perspective-please/).

Ecco, iniziare a parlare in Italia di "terza via" (non ci piace, ricorda il fascismo e Giddens), middle way, maternità femminista, maternità pluralista - anche solo iniziare a farlo, mi sembrerebbe una prima tappa fondamentale. A cominciare dalla riflessione sulla definizione di latte materno come bene comune.

lunedì 28 maggio 2012

Prima di essere una madre



Prima di diventare madre, avevo molte care amiche. (Ce le ho ancora, tranquilli.) Tutte diverse, per gusti, stili, idee. Certo nessuna di noi era esente da pregiudizi, mica siamo illuminate. Il pregiudizio più gettonato, comunque, era quello che divideva le persone tra intelligenti e sciocche. Noi eravamo quelle intelligenti, non serve precisarlo.
Chi erano le sciocche?

Quelle che non leggono mai.
Quelle che si rifanno le tette.
Quelle che stanno insieme a un tossicomane che le picchia per dieci anni e ci fanno due figli.
Quelle che non hanno mai saputo ribellarsi alla propria famiglia di origine e hanno seguito in percorso prestabilito che le ha rese infelici.
Le bigotte.
Le cattoliche integraliste.
Le varie versioni regionali e locali della ragazza pon pon.
Quelle che entrano in una setta.
Quelle prive di ironia e autoironia.
E ci sarebbero molti altri esempi.

Poi ci sono anche quelle antipatiche, che però sono una categoria trasversale di cui fanno parte alcune intelligenti e alcune sciocche, ma di questo non mi occuperò in questo post. Anche perché tanto mi stanno antipatiche.

Ovviamente, pur non essendo illuminata, non sono mai stata capace di essere troppo chiusa. Prevale la curiosità. Così i miei pregiudizi si sono nel tempo ammorbiditi e in verità in varie epoche della mia vita ho avuto tra le mie ottime amiche almeno una donna per ciascuna categoria. Non dubitando, peraltro, della sua intelligenza.

Ma da quando sono madre, tutto è cambiato. Si è semplificato.
I pregiudizi sono soltanto due.
Mammasantissima e mamma cattivissima.
Bando alle sfumature.
Dipenderà dal fatto che la maternità lascia poco tempo alle sottigliezze, altrimenti dette seghe mentali?

Prima di essere una madre, sembrava che tutte noi donne, amiche, anche quando molto diverse l'una dall'altra, fossimo un po' tutte nella stessa barca.
Educate a farcela nella vita, possibilmente da sole e non alle dipendenze di un maschio.
Consapevoli di quanto sia difficile, in questi anni, farcela da sole, senza maschio ma anche col maschio (che pure da solo, non ce la fa).
Romantiche, sognatrici, libertine, idealiste, tormentate tra barbie, Marx, Philip Roth e Twin Peaks.
La cultura in cui siamo cresciute accoglieva in sé un bel po' di contraddizioni, ma ci dava anche gli anticorpi per elaborarle.
Con la voglia di avere un corpo, e quella di non essere vittime di stereotipi estetici.
Con disturbi alimentari, problemi di dipendenze.
Con voglia di vivere e capacità di uscire dai momenti bui grazie al sapersi prendere sul serio il giusto, né troppo né troppo poco, e al momento giusto.
Alcune determinatissime e vincenti, altre molli, incespicanti. Alcune esplosive e disperate, altre pacate e solide. Tutte più o meno capaci di parlare di sé, almeno un po'. Almeno quanto basta.

Poi ognuna aveva e ha il suo stile.
Una fa yoga, l'altra segue Osho. Un'altra ridacchia dietro a tutto ciò che sa di new age, ma una pastiglia omeopatica se la prende pure. Un'altra trova la catarsi scrivendo, un'altra ballando il tango. A una piaccioni i bambini, l'altra li detesta. Una gira solo in bici nell'inferno di Roma, è vegana e anarchica. Un'altra è quadro in una azienda importante, ha avuto il lavoro dei suoi sogni e ha voluto un bel matrimonio tradizionale. Una è diventata cattolica a più di trent'anni, un'altra manco morta si avvicinerebbe a un tempio, nemmeno nel matrimonio della sua migliore amica.

Ma ci siamo sempre sentite unite. Dalle letture in comune, dalle stesse canzoni, dai posti dove siamo cresciute, da genitori che erano amici prima di noi, dai film e dai telefilm, dalla storia, quella grande, che ha trascinato noi piccole piccole dall'infanzia all'età adulta.

E non ci è mai venuto in mente di dividerci in categorie, come donne, tra quella ecologica e naturale, spirituale e decrescente, e quella razionale e anticlericale, femminista e progressista.

Prima di essere madri eravamo un po' di tutto questo. A giorni alterni, su fronti alterni. Chi più e chi meno. Ognuna alla ricerca della sua misura, unica e irripetibile, senza sindacare quella delle altre. Tutte certamente irritate all'idea di venir definite per gruppi di appartenenza. Semmai anzi animate dall'ansia di differenziarci.

Ho guardato indietro alle mie amiche e me, prima che io, e qualcuna di loro, avessimo dei figli, e ho capito una volta di più quanto sono folli e ridicole le due categorie attraverso cui ci definiamo come madri.

E' questo il vero appiattimento dell'identità. Nessun femminismo sarà di nuovo possibile finché, come madri, ci sentiremi costrette a prendere posizione in base a questi due modelli di maternità.

Dedico questo post alle mie amiche che non sono madri. Sarei curiosa di capire ai loro occhi, questa guerra, come appare.

mercoledì 16 maggio 2012

Sante naturali o puttane artificiali?



Stamattina mi sono alzata mezz'ora prima della sveglia, col magone e una domanda:

Ma a noi donne, cosa ce ne importa di schierarci nella guerra tra ostetriche e anestesisti?

Cosa ce ne viene?

Nel mondo della Sanità italiana pare che nessuno si batta per una visione integrata del parto, dove epidurale garantita e umanizzazione siano obiettivi alleati e non nemici.

Nella Sanità ogni fazione ha i suoi interessi.

Fuori dalla Sanità se ne parla poco, e chi ne parla lo fa sposando una o un'altra tifoseria.

E mi si dice: occorre schierarsi, perché una parte ha già perso, e l'altra ha già vinto. (Perché arriveranno altri tagli, l'epidurale è l'ultima cosa in agenda e le pratiche di contenimento alternative prenderanno il sopravvento per ragioni nobili e meno nobili.)

E dalla parte delle donne, chi ci sta?

Come sempre, nemmeno le donne.

Chiamate a una scelta demente, come quella tra sante e puttane. Frutto di una cultura arretrata e povera.

Io non ho il tempo, né lo stile ficcante, né il pelo sullo stomaco per essere l'unica a portare avanti un'idea che mi pare la scoperta dell'acqua calda, su un tema di cui non frega nulla a nessuno.

Io ho il magone, la frustrazione, la rabbia e una domanda: cosa fare, in concreto, per cambiare la situazione?

martedì 8 maggio 2012

L'epidurale e gli altri diritti del parto

In Italia sappiamo che l'epidurale è disponibile solo nel 16% di ospedali (il dato non è aggiornatissimo ma pare sia l'unico disponibile). Tra i tristemente pochi che ne rivendicano il diritto, c'è chi tende a opporre la comprovata scientificità di questa tecnica partoanalgesica alla dubbia scientificità del discorso "partonaturalista", ovvero quello che insiste sull'importanza del "parto naturale", discorso che, dal canto suo, tende a osteggiare l'epidurale e la medicalizzazione del parto tout court anche in contesti di rivendicazione del diritto alla salute e all'autodeterminazione delle donne. 

In questo post cerco di spiegare perché, dopo aver letto quanto più potevo capire da non addetta ai lavori e da semplice cittadina con una formazione umanistica, mi sono convinta del fatto che l'epidurale garantita e gratuita e il parto umanizzato debbano essere oggi due obiettivi sinergici e non contrapposti l'uno all'altro.