mercoledì 14 marzo 2012

Prima le donne o i bambini? Mamma secchiona studia Badinter

Dalla gravidanza in poi ho letto molto, libri e Internet, e ho molto commentato in rete. Mi facevo tutte quelle domande: dove partorire? il dolore ha una funzione? saprò sopportarlo? l'epidurale fa male? come andrà l'allattamento? quanto a lungo allattare? dove è meglio far dormire mia figlia? Che ne sarà della mia individualità? E del lavoro? eccetera. Ho cercato risposte, non mi sono accontentata delle prime che arrivavano. Poi mi sono fatta una mia idea. Un'idea in fondo assai semplice. Che maternità e femminismo sono temi strettamente legati (e non perché ogni donna debba essere madre) e che oggi, nonostante i disastri, per la prima volta nella storia le madri hanno l'occasione, se vogliono, di rivendicare una maternità vissuta con pienezza e al tempo stesso i diritti sociali, politici ed economici per assicurarsela senza dover rinunciare alla propria realizzazione professionale. In pratica, la conciliazione. Non ho detto, attenzione, che oggi noi madri possiamo aspirare alla conciliazione: è quasi impossibile in tempi di crisi economica, venti liberisti, economie emergenti senza tutele del lavoro, smantellamento del nostro welfare.

Dico però che la cultura nella quale siamo immerse, la disponibilità dell'informazione e del confronto, possono portarci a un maggior grado diffuso di consapevolezza sull'importanza di temi diversi. Per esempio delle tematiche pedagogiche, e dunque sul valore di offrire ai figli una qualità e una quantità di presenza e attenzioni che le generazioni passate credevano superflue. E ancora, dell'ecologia, che ci spinge a ridurre e riformulare i consumi. Della salute sessuale e riproduttiva delle donne, delle politiche sanitarie e non a essa legata, di quanto conti in questo amibito un approccio rigoroso ma interdisciplinare che consideri corpo, psiche ed etica. Del femminismo, che non smette di essere attuale in un mondo dove le donne sono ancora un gruppo umano terribilmente discriminato dall'altro gruppo umano, quello degli uomini, e non solo con l'uso della violenza o col vilipendio dell'immagine che sono i modi più denunciati, ma soprattutto in termini di diritti e di accesso all'indipendenza economica e dunque, in termini di dignità.

La consapevolezza organica a cui oggi abbiamo accesso può essere frustrante, perché alla prova dei fatti molte madri (più che mai in Italia) si troveranno più o meno costrette a scegliere tra famiglia e lavoro, e questo indipendentemente dal modello di maternità a cui si sentono più vicine. Però non possiamo nemmeno ignorare che esista. Ed è da qui che dobbiamo partire per sognare, per lottare e per costruire un mondo migliore anche per le madri. Concentrarsi su un solo aspetto significa fossilizzarsi in logiche manichee e lobbistiche e non ci farebbe procedere di un millimetro.

Badinter Elizabeth è la sovrana di questa visione dualistica che mi fa impazzire e che è da abbattere: madri totali o madri indipendenti. Niente vie di mezzo. Una madre che promuove l'allattamento o è santa o è talebana, mentre una madre che si serve del biberon è egualitarista o snaturata. Vengono prima le donne o prima i bambini? E' una guerra. Ci sta fiorendo su una letteratura sterminata e forme anticonvenzionali ma striscianti di militanza politica di un segno e dell'altro. Al capolinea delle mie letture, ho deciso di applicare le 3 R - Riparo, riciclo e riuso anche alla bulimia bibliofila e all'ansia di ottenere un "sufficientemente buono" all'esame di madre. Ci ho fatto una tesina universitaria per uno dei miei ultimi esami, storia della psicologia. La professoressa si è complimentata, ma si è tenuta la lode. Sarà perché lei è di quelle che danno ragione a Elizabeth Badinter...

Pubblico qui il primo paragrafo e gli ultimi due - sintesi della questione posta dalla filosofa, cenni aggiornati alle scienze sociali e le mie personalissime conclusioni. Nel mezzo c'è quello che avete già letto ovunque: attachment parenting o farsi i polmoni, lettone o Estivill, dolore o orgasmo, casa o ospedale, casa o nido, fasce o carrozzine, natura o cultura, biberon, psicoanalisi o psicologia umanistica, donna o mamma, tacco o tetta e latte latte latte, fiumi di latte, la Scienza che è santa quando dice quel che penso io e che è compromessa e arida quando dice quel che vogliono gli altri. Essendo roba nota e arcinota, tralascio. Ma chi vuole può chiedermi la versione integrale, la mando volentieri.

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La donna e la madre: conflitto o conciliazione?
Il maternalismo sotto accusa, da Elizabeth Badinter ai social network


Dopo i ringraziamenti d’obbligo per la contraccezione e l'aborto, si è affermata la constatazione del fallimento. Fallimento delle madri che le figlie non vogliono più imitare e che si può riassumere così: avete sacrificato tutto per la vostra indipendenza e invece di averla conquistata vi ritrovate con una giornata di lavoro doppia, professionalmente sottovalutate e in fin dei conti perdenti su tutti i fronti. (...) Hai sacrificato tutto per la tua indipendenza, compresa me. Non mi hai dato abbastanza amore, abbastanza tempo. Sempre di corsa, spesso stanca, hai creduto che la qualità del tempo che mi dedicavi valesse più della quantità. In verità io non ero la priorità e tu non sei stata una buona madre. Non rifarò tutto questo con i miei figli.[1]

Il testacoda del femminismo

L’ultimo libro di Elizabeth Badinter, Madri cattivissime? (titolo originale: Le conflit. La femme et la mére), apparso in Italia il settembre scorso, ha avuto nel nostro paese una piccola eco mediatica, seppur su un tema che difficilmente sale agli onori delle cronache culturali: l’idea di maternità nella cultura occidentale odierna, postulando la tesi che la maternità sia ritornata “al centro del destino delle donne” in modo subdolo, coercitivo e ben poco promettente, e che da ciò derivino i maggiori pericoli per la condizione femminile occidentale. Da un lato il discorso femminista, arenatosi ai margini del dibattito culturale per decenni, è ultimamente tornato al centro della scena col movimento “Se non ora quando?” nato dal documentario di Lorella Zanardo Il corpo delle donne, a partire non da una critica della realtà materiale e socio-economica, ma da una critica dell'immagine della donna legata alla cultura televisiva e alla deriva morale della politica. Dall'altro lato, la ricerca accademica in Italia - storia e scienze sociali - incentrata sulla maternità ha partecipato poco o per niente alla proposta politica negli ultimi decenni[2].
Eppure esiste una sede nella quale il dibattito sul tema della maternità con tutti i suoi risvolti è molto vitale, e si tratta dei social network. Questo accade dal momento che le donne incinte o neomadri, prive di una rete di rapporti familiari e sociali in cui specchiare la propria esperienza, cercano in Internet informazioni e confronto su gravidanza, parto e accudimento dei figli. I libri divulgativi che affrontano questi temi sono innumerevoli, e molto ben venduti. Basta una scorsa ai titoli per notare l’esistenza di uno scontro culturale tra diverse visioni pedagogiche e di genitorialità (Fai la nanna vs. Facciamo la nanna, Fai la pappa vs. Io mi svezzo da solo ecc.), scontro che nel Web viene ripreso e animato, sia alla luce delle esperienze concrete e quotidiane dei genitori, che grazie a vere e proprie campagne di opinione condotte da singoli o da gruppi di mamme, genitori o professionisti del settore.
Accade dunque in qualche modo che la chiusura del cerchio tra teorie e pratiche avvenga grazie a e attraverso Internet, con tutti i limiti che ciò comporta (quanto e come incide nel reale la comunicazione digitale è oggetto di specifici campi di studio), per un tema che, se è fortemente studiato, d’altro canto non riesce a imprimersi a sufficienza, per lo meno in Italia e per lo meno oggi, nei processi di modificazione del presente.

Questa tesina, partendo dal libro di Elizabeth Badinter, vuole provare a focalizzare gli snodi del dibattito, tentando occasionalmente un confronto con le riflessioni in parte affini che la sociologa italiana Elena Gianini Belotti proponeva ‒ in tutt’altro contesto ed epoca ‒ nel suo saggio Non di sola madre (1983), per rilevare, oltre alle differenze, alcuni sorprendenti punti di convergenza che suggeriscono quanto poco si sia evoluto il dibattito nell'arco di tre decenni (producendo una situazione paradossale tra l’immobilismo culturale e istituzionale, e i radicali cambiamenti socioeconomici che si sono verificati); prendendo in esame un aggiornato studio di scienze sociali sulla conciliazione tra famiglia e lavoro (Monica Naldini e Chiara Saraceno, Conciliare famiglia e lavoro: vecchi e nuovi patti tra sessi e generazioni, Bologna, Il Mulino 2011); e infine osservando il modo in cui il discorso prende forma – e in certi casi, si tramuta in azione – nella Rete. Qui ritroviamo la contrapposizione, del tutto analoga a quella presente nel libro di Badinter, tra una visione della maternità “naturalista-maternalista” e una visione che definiremo arbitrariamente “scientista-egualitaria” (la corrente tende a non definirsi se non per differenza e negazione rispetto alla prima). Il discorso, che comincia dalla concezione del parto e della nascita, si estende e si allarga alla qualità e alle caratteristiche della presenza materna e del ruolo genitoriale, investendo temi come l’allattamento, le strutture sanitarie, quelle educative, e incrociandosi con la critica ai modelli di produzione e consumo, l’ecologia, la politica, aprendosi infine a un’immensità di argomenti  e di ambiti disciplinari, quasi tutti sfiorati anche nel libro di Badinter.

Secondo Elizabeth Badinter, negli ultimi trenta anni si è assistito a una “rivoluzione silenziosa” che ha riportato la maternità al centro del destino delle donne. Tale rivoluzione è definita meglio come una involuzione, un “testacoda” in parte agito dalle donne stesse, in parte invece subito come conseguenza di un insieme di contingenze culturali, politiche e sociali tutte strettamente connesse alle crisi economiche, a partire dalla crisi petrolifera del 1973 e continuando con quelle seguenti, nei primi anni Novanta fino alla più recente iniziata nel 2008 e che viviamo anche adesso. Politiche sanitarie internazionali (con l’OMS in testa), politiche sociali ed aziendali, cultura ecologista nella sua speciale declinazione di un “naturalismo maternalista”, realtà tradizionaliste di ritorno convergono, secondo Badinter, verso il rientro della madre a casa e il suo ritiro dal mercato del lavoro, come su un piano inclinato, in alcuni casi apertamente alleate, in altri solo casualmente co-agenti dello stesso effetto.

Negli anni Settanta il femminismo aveva messo in crisi il concetto tradizionale di maternità, e se da un lato si era proposto un modello femminile che non fosse inevitabilmente legato alla maternità ma si realizzasse attraverso altre forme identitarie passando per il successo professionale e intellettuale, il conseguimento di ruoli di potere fino ad allora appannaggio del mondo maschile, ecc., dall’altro lato si era fatta strada la rivendicazione di una maternità come scelta e dunque realizzata e vissuta a modo proprio, nel rifiuto delle convenzioni sociali: questo doppio movimento si riassunse nella aspirazione alla conciliazione di donna e madre, di lavoro e famiglia, la quale prevedeva però come conditio sine qua non una spartizione paritaria del lavoro domestico e di cura con gli uomini. Tale spartizione non è avvenuta, almeno non in misura significativa, e questo mancato passaggio, unito secondo Badinter alla “triplice crisi” (economica, delle identità e delle uguaglianze sociali) ha gettato le premesse perché si compisse l’inevitabile testacoda del femminismo e l’affermazione del neo-maternalismo.
La filosofa inquadra dunque il neo-maternalismo in una prospettiva controproducente per le donne e in definitiva per tutta la società: analizzando i modelli familiari di diversi paesi occidentali, la sua conclusione provocatoria è che il miglior esempio per le donne non sia tanto quello scandinavo, che è generalmente riconosciuto dalle scienze sociali come quello che meglio ha saputo realizzare la conciliazione attraverso politiche di welfare, ma quello francese, dove non solo lo Stato si fa carico della cura dei figli piccoli, ma le stesse mamme sono culturalmente e storicamente più inclini che in qualsiasi altro paese a delegare le cure materne e proprio in forza di questo, più inclini a fare figli. Sono queste madri mediocri secondo Badinter a rappresentare il modello a cui ispirarsi per garantire da un lato il proseguimento del percorso di emancipazione femminile verso la parità, dall’altro un tasso di nascite alto. Il modello neo-maternalista sarebbe dunque doppiamente fallimentare: sia perché riporta indietro l’orologio delle conquiste e dei diritti, sia perché costringe le donne a fare i conti con un ideale di maternità impossibile e opprimente, che ormai non sono più disposte a scegliere.

Il lavoro e le politiche

Un punto chiave di Madri cattivissime è, come abbiamo visto, la convinzione di Badinter che le politiche maternaliste siano sostanzialmente insufficienti, impotenti contro la cultura neomaternalista che è vessillo di una crisi di portata troppo vasta, di fatto inadeguate. Il fatto che il suggerimento di una strada diversa sia forse appena alluso lascia dedurre che per Badinter l’intervento vada promosso altrove: non sul piano politico, ma su quello culturale. Ciò che lei auspica è il ridimensionamento delle aspettative verso le madri, condizione sulla quale fondare la propria rimessa in discussione, da parte delle donne, sul piano identitario, riconoscendo l’indipendenza economica e la realizzazione professionale come priorità di genere rispetto all’esperienza della maternità. Badinter sembra convinta che la tendenza femminile – puntualmente registrata dalle statistiche – a privilegiare la maternità e gli aspetti affettivo-familiari della vita, non solo fortemente presente nei paesi a welfare familizzato, ma prevalente anche in quelli col più efficace welfare de-familizzato, Svezia e Danimarca – sia un prodotto culturale deleterio.
Ma diamo un’occhiata alle politiche maternaliste nella Storia.[1] La genesi e la nascita del Welfare a cavallo tra Ottocento e Novecento deve moltissimo alla spinta dei movimenti femminili e femministi, principalmente legati alla povertà femminile e infantile. Il femminismo stesso nasce come rivendicazione dei diritti delle madri. Da lì in poi, nei paesi occidentali due modelli di femminismo politico si sono scontrati: uno di tipo egualitario, che vedeva nell’assistenza sociale alle madri un modo per tenere le donne a casa espellendole dal mercato del lavoro e riducendo di fatto la loro libertà, e che auspicava legislazioni a favore della parità, il cui obiettivo era il totale superamento del modello male breadwinner e l’affermazione di una famiglia dual breadwinner («le riforme sociali centrate sulla maternità spesso finiscono per essere considerate più come una protezione (paternalista) che come un diritto (maternalista)»[2]); l’altro di tipo appunto maternalista, che rivendicava di volta in volta assegni familiari alle madri o ai figli, leggi a sostegno del congedo di maternità ecc. che consentissero alle donne di non lasciare i propri figli piccoli per andare a lavorare, spostando la dipendenza economica dal marito allo Stato e avendo come obiettivo principale la conciliazione tra famiglia e lavoro.
Il recente lavoro di Manuela Naldini e Chiara Saraceno Conciliare famiglia e lavoro: vecchi e nuovi patti tra sessi e generazioni (Il Mulino, Bologna 2011) rappresenta l’analisi sociologica italiana aggiornata ai dati statistico-demografici più recenti sul tema della conciliazione tra famiglia e lavoro nei Paesi sviluppati. Oltre a mettere in evidenza gli esiti delle tendenze politiche degli ultimi decenni, il saggio li analizza alla luce delle modificazioni inedite che hanno interessato nell’ultimo decennio il mercato del lavoro in termini di flessibilità, le quali hanno determinato il ridursi della differenza tra tipologie di lavoro maschili e femminili, con un aumento della diffusione del lavoro atipico tra la popolazione maschile. Oltre a questo, il grande dato rilevante è l’aumento dell’età media della popolazione, con conseguente aumento del bisogno di cura nelle persone anziane, bisogno che in Italia viene assorbito in gran parte all’interno della famiglia stessa e concretamente assolto per lo più dalle donne. Esse tuttavia nel Ventesimo secolo hanno aumentato radicalmente la loro partecipazione al mercato del lavoro, modificando nella sostanza il modello familiare prevalente, che è passato da male breadwinner a dual  breadwinner  o one and half breadwinner. La generazione di donne nate negli Cinquanta, che è poi quella che ha lottato per le rivendicazioni politiche negli anni Settanta e Ottanta e che ha per prima realizzato un certo livello di emancipazione in ambito professionale ed economico, beneficiando al contempo dell’onda lunga del boom, si trova oggi vessata da un duplice ruolo di cura: ai propri genitori anziani, che necessitano spesso dell’assistenza privata delle badanti straniere, e ai propri figli trentenni, spesso non ancora del tutto autonomi economicamente, o con prospettive di lavoro incerte, in alcuni casi già con figli. Inoltre, nelle nostre società ci si aspetta che l’adulto resti nel mercato del lavoro sempre più a lungo. Nei decenni è aumentata ulteriormente la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, ma la richiesta di cura, se diminuita per la riduzione della natalità, è d’altro canto aumentata da parte degli anziani, mentre l’offerta di cura da parte dello Stato non è aumentata. Quanto agli strumenti di conciliazione familiare riferiti alla nascita dei figli, la flessibilizzazione del mercato del lavoro esclude sempre più cittadini dalla loro effettiva fruibilità. Per le donne separate e le madri single, la coincidenza tra ruolo di cura e di procacciamento di reddito è totale. Il modello della doppia presenza in casa e nel lavoro remunerato è normativamente generalizzato per le donne, ma non per gli uomini, che pur avendo aumentato la loro presenza nella vita familiare, non lo hanno fatto in modo significativo.
Le autrici evidenziano tre modelli diversi, il cui grado di incrocio determina le differenze tra i paesi:
1) familismo di default (dove la responsabilità pubblica è scarsa o nulla); 2) familismo sostenuto (dove il sostegno pubblico è dato, ad esempio, nella forma di congedi remunerati, o assegni di cura); 3) de-familizzazione (ove parte del lavoro/tempo è assunto dalla responsabilità pubblica). Ad esempio in Francia troviamo un forte familismo sostenuto, più una de-familizzazione per la cura dei bambini. Svezia e USA esemplificano le due vie opposte alla de-familizzazione: in Svezia, la de-familizzazione è realizzata tramite servizi all’infanzia integrati da congedi lunghi con incentivo per i padri, mentre negli USA la de-familizzazione è la conseguenza dell’assenza di politiche pubbliche, in un contesto in cui tuttavia ci si aspetta che le donne siano nel mercato del lavoro; l’unico sostegno familiare è offerto con detrazioni fiscali per la classe media, anche se esiste un forte mercato di servizi assistenziali privati, relativamente accessibile per la classe media (poco o per nulla da quella medio-bassa.

Relazioni di genere e sistemi famiglia-lavoro:
A base familiare (Italia)
orari di lavoro più lunghi
A parità di genere via mercato (USA)


relazioni di genere
più tradizionali
Male breadwinner / dual earner  (full time per lui e lei)
Dual earner (orari lunghi per lui e lei)


relazioni di genere
meno tradizionali
One and half (part time per lei)
Dual earner / dual caregiver (orari medi per lui e lei)
Neotradizionalista (Olanda)
orari di lavoro più brevi
A parità di genere via Stato (Svezia)
Secondo le autrici, in conclusione, l’attuale crisi economica e le sue conseguenze in termini di ritardo o inadeguatezza delle risposte legislative stanno accentuando in tutto l’Occidente la difficoltà di conciliazione tra famiglia e lavoro per le donne, ed è evidente una loro preferenza per il tipo di risposta a parità di genere via Stato tipica dei paesi Scandinavi. Tale conclusione, pur elaborata in un ambito teorico sostanzialmente differente rispetto a quello in cui si muove Elizabeth Badinter, è a mio avviso in chiaro contrasto con la teoria della filosofa.


Conclusioni

Secondo il mio parere l’analisi di Badinter ha la sua principale debolezza proprio nell’approccio teorico che utilizza, che, se anche si misura con i dati forniti dalla demografia e dalla statistica, non risulta in definitiva sufficientemente comparatistico quanto invece mostra di esserlo lo studio sociologico delle autrici Naldini e Saraceno, a sua volta certamente definito comunque entro i confini della disciplina (escludendo dunque, legittimamente, percorsi di tipo psicologico o di gender studies). Badinter tuttavia si propone, da filosofa, di offrire una cornice interpretativa esaustiva: ma lo fa adoperando la prospettiva ristretta e particolare del femminismo (sulla scia peraltro di un particolare tipo di femminismo, quello egualitario) come dispositivo teorico che non interagisce alla pari con le altre categorie o con le altre discipline con cui si confronta, ma si pone in competizione con esse, quasi ad affermare una assiomatica e arbitraria precedenza di valore dell’uguaglianza di genere come obiettivo rispetto ai numerosi altri nodi del nostro tempo in cui il ruolo della donna riveste una funzione problematica, come se la tematica ecologista, la critica al sistema economico e le discipline psicopedagogiche fossero cose dalle quali il femminismo deve difendersi, anziché aspetti con cui misurarsi e integrarsi.
Pur consapevole delle criticità che questo discorso comporta, ritengo che l’errore risieda proprio nell’approccio quasi “lobbistico” dell’autrice, che se può essere comprensibile (anche se non necessariamente condivisibile, né necessariamente efficace) come parte di una strategia politica adottata da attori politici, in un modello teorico di tipo filosofico comporta solo un appiattimento tematico rispetto a complessità che non possono essere eluse, né nelle teorie di genere, né nella discussione pubblica, né nella definizione di pratiche e proposte di intervento.
Il rischio è quello di generare un’ulteriore spaccatura nel movimento femminista, o meglio, nella cultura femminile e nelle pluralità di soggetti che essa oggi esprime, caratterizzata da frammentazione e da interruzioni drammatiche nella trasmissione intergenerazionale.
La donna di oggi è un soggetto ineditamente emancipato sul piano culturale, che gode della rendita dei benefici conquistati dalle generazioni precedenti senza avere piena consapevolezza né di quanto sono costati, né di quanto si sta dimostrando facile perderli. È quindi estremamente duttile e nomade[3], si sente libero di esplorare i confini delle identità di genere e dei ruoli, e proprio per questo di riscoprire, nel caso specifico, la pienezza di una maternità più corporea e le diverse pratiche genitoriali legate sia alla definizione di stili di vita, che a una progredita coscienza psicopedagogica tipica del nostro tempo; a volte facendo di necessità virtù rispetto circostanze lavorative demotivanti, non necessariamente con un senso di resa, ma anche con la consapevolezza di scelte valoriali. Scelte paradossalmente fondate sulle sempre ridotte libertà di definizione delle condizioni di lavoro e sociali, a cui anche gli uomini stanno a mio avviso progressivamente accedendo, anche se la loro capacità di cogliere la paradossale opportunità insita in questa congiuntura (l’ennesima opportunità di trasformazione di genere offerta a un genere che si mostra molto rigido nei confronti del cambiamento) è forse il principale punto interrogativo. Questa situazione rappresenta a mio avviso da un lato l’indicazione di un percorso positivo e già avviato, i cui esiti non avrebbero nulla a che vedere con lo scenario a tinte fosche di un ritorno al peggior patriarcato dipinto da Badinter, dall’altro un momento in cui la crisi  ‒ che invece Badinter descrive molto correttamente ‒ è talmente forte da farci rischiare tutto, il futuro e anche il passato. Sta a noi tutti, cittadini, donne e uomini, tracciare la strada per andare avanti, e anche se la direzione giusta è già tracciata, intraprendere il cammino appare, realisticamente, davvero difficile.


[1] (Gisela Bock, Povertà femminile, maternità e diritti della madre in Storia delle donne. Il Novecento, Laterza, Roma-Bari 2003)
[2] Ivi, p. 419.
[3] “Una visione nomade e non unitaria del soggetto, anziché impedire prese di posizione eticamente rilevanti, costituisce una precondizione necessaria per la formulazione di un’etica all’altezza delle complessità del nostro tempo”,  Rosi Braidotti, Trasposizioni, Luca Sossella, 2008.



[1] Elizabeth Badinter, Mamme cattivissime? La madre perfetta non esiste, Corbaccio, Milano 2011, p. 102.
[2] Donne e famiglie nei sistemi di Welfare, a cura di Roberta Nunin ed Elisabetta Vezzosi, Introduzione, p. 9.

23 commenti:

  1. Badinter Elizabeth è la sovrana di questa visione dualistica che mi fa impazzire e che è da abbattere: madri totali o madri indipendenti. Niente vie di mezzo. Una madre che promuove l'allattamento o è santa o è talebana, mentre una madre che si serve del biberon è egualitarista o snaturata.

    Non ho tempo per leggere tutto. Mi sono fermata qua e confesso che mi sono un po' girate.
    La Badinter non parla mai di madri ma di LLL, consulenti del latte.

    Non si riferiscer mai alle abitudini personali di una donna con il suo bambino ma a un penjsiero totalizzante del materno.

    Che l'allattamento al serno stia diventando quasi un obbligo è assolutamente vero.

    Che sul materno si parli con toni o bianchi o neri è altrettanto vero.
    Che questo ti piaccia o meno è un altro paio di maniche.

    La Badinter secondo me dice una cosa sacrosanta: smetterla di focalizzarsi sulle presunte differenze di genere (e per es la funzione dell'allattamento è focalizzarsi su queste differenze) ma cercare invece punti di comunione.

    Con questo non significa che chi allatta è una reazionaria e chi usa il biberon una snaturata o libertaria. Significa sempliocemente poter scegliere senza l'incubo di una verità biologica che definisce una volta per tutte la differenza di genere.

    Un'ultima osservaione (anzi due):
    (il pensiero) si tramuta in azione – nella Rete.

    Più che azioni spesso sono chiacchiere. Quelle chiacchiere che solo per il pronunciarle ci illudono di agire.

    e una visione che definiremo arbitrariamente “scientista-egualitaria” (la corrente tende a non definirsi se non per differenza e negazione rispetto alla prima).

    Solo per il fatto che la "visione scientista" si definisca per differenza e negazione rispetto a quella "naturalista" prova - secondo me - che la prima nasce semplicemente per reazione a quel pensiero unico che sta asfisiando le madri (e pure un po' i padri).

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  2. Gekina, con tutti i meriti che ti riconosco, la tua posizione che ribadisci anche in questo commento per me però è proprio l'espressione tipica del particolarismo di cui parlo. Per me tu vedi solo un lato della medaglia e non il suo rovescio.

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  3. Ti rispondo al volo sui vari punti

    "La Badinter non parla mai di madri ma di LLL, consulenti del latte."
    quando dico che Badinter è paladina del discorso dualistico, non mi riferisco infatti alle madri vere, ma al discorso sulla maternità, ai modelli che le madri in qualche modo 'subiscono', percepiscono, oppure anche a volte scelgono.

    "Che l'allattamento al serno stia diventando quasi un obbligo è assolutamente vero."
    Non sono d'accordo. Con enormi differenze tra un paese e l'altro, oggi si oscilla tra l'ultrasensibilizzazione sulla'importanza di allattare e l'ignoranza di pediatri che non hanno idea di come funzioni l'allattamento. Nel mezzo, l'inconsapevolezza di tantissime donne, non supportate in senso psicologico su questo come su tanti altri delicati aspetti del puerperio. E' grave pressare una donna perché allatti come è grave darle informazioni incomplete o errate. Attualmente in Italia abbiamo entrambi i problemi. Serena Nobili su Genitoricrescono ha recensito il libro ieri e ha scritto quel che penso anche io:

    "E’ fuor di dubbio che il ritorno all’allattamento al seno rispetto al biberon è a totale svantaggio della libertà della donna, e mentre da un lato i vantaggi dell’allattamento sono stati evidenziati da diversi studi, la conseguenza psicologica sulla madre-donna e sul rapporto di legame con il bambino, non sono stati ugualmente analizzati, e al contrario vengono spesso passati come di importanza secondaria. Io credo invece che proprio l’aspetto del benessere psicologico della relazione madre-figlio dovrebbe essere messa al primo posto rispetto a presunti vantaggi dell’allattamento al seno, e forse si dovrebbe investire nel garantire un sostegno adeguato alla maternità anche nel ricordarci che l’allattamento è una cosa privata. Nel modello scandinavo, tanto criticato dalla Badinter questo avviene regolarmente, e il ruolo della nurse che segue la puerpera c’è anche quello di verificare il suo stato di salute psicologica per intervenire eventualmente suggerendo anche un allattamento misto. Eppure le statistiche mostrano che i paesi scandinavi hanno la quasi totalità di allattamento al seno, forse proprio grazie al fatto che l’allattamento è vissuto come naturale ma non obbligatorio, e il sostegno che si riceve è fondamentale per la sua riuscita." http://genitoricrescono.com/mamme-cattivissime/

    "Che sul materno si parli con toni o bianchi o neri è altrettanto vero."
    E non credi che sia urgente e necessario smetterla?

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  4. "La Badinter secondo me dice una cosa sacrosanta: smetterla di focalizzarsi sulle presunte differenze di genere (e per es la funzione dell'allattamento è focalizzarsi su queste differenze) ma cercare invece punti di comunione."
    Questa è un'impostazione femminista vecchia e superata. Non siamo più al tempo di dover scegliere tra un femminismo della differenza e uno dell'uguaglianza. E' una conseguenza positiva, questa, della crisi dell'identità (anche di genere) che Badinter tematizza così bene. Oggi possiamo pure permetterci (a livello di consapevolezza) di rivendicare un senso di femminilità biologica fortissimo mentre pialliamo un'asse di legno e ci battiamo contro le lettere di licenziamento preventivo. Possiamo e dobbiamo permetterci di rivendicare punti di differenza di genere e di soggetti e punti di affinità, con intelligenza, buon senso e libertà individuale. La verità biologica è complessa e non può rappresentare un incubo visto che ci mostra che definirsi mammifere e definirsi transgender non è un controsenso, non certo per la biologia, né tantomeno per la cultura.

    "(il pensiero) si tramuta in azione – nella Rete.

    Più che azioni spesso sono chiacchiere. Quelle chiacchiere che solo per il pronunciarle ci illudono di agire."
    D'accordissimo, infatti altrove nella tesina specifico che l'efficacia della militanza in rete è dubbia ed è oggetto di specifici studi. Però trovo interessante rilevare come al silenzio della politica ufficiale corrisponda il fermento del Web.

    "Solo per il fatto che la "visione scientista" si definisca per differenza e negazione rispetto a quella "naturalista" prova - secondo me - che la prima nasce semplicemente per reazione a quel pensiero unico che sta asfisiando le madri (e pure un po' i padri)."
    Sono d'accordo che nasca per reazione a una serie di estremismi, ma non sono d'accordo quando parli di Pensiero unico. Naturalismi, ecologismi e maternalismi sono a loro vota reazioni a problematiche estremamente pesanti e tuttora irrisolte, e non riconoscerlo è per l'appunto particolarista e irresponsabile... secondo me.

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  5. Qui non si tratta di vedere o non vedere il rovescio, ma di rifiutare una filosofia illiberale che è alla base del discorso naturalista.
    Chi invoca la Natura, la Biologia, sta invocando il dogma, la Verità.
    L'esempio che c'è nel libro sulla storia della LLL e la sua incredibile espansione planetaria è calzante.
    Da gruppo di devote cristiane ad associazione capace di influenzare persino le politiche sanitarie. La scomparsa dei nidi negli ospedali (qualcuno chiama il fenomeno rooming-in) per favorire attaccamento e allattamento è una conseguenza del dictat naturalista.
    Perchè c'era una terza via... lasciare alla madre il diritto di scegliere.
    In alcuni ospedali è possibile ma in altri il trend è questo...

    per me però è proprio l'espressione tipica del particolarismo di cui parlo.

    Per me invece - più banalmente - è l'espressione di due sensibilità/simpatie (le mie e le tue) diverse.
    A me la Badinter piace e ne condivido il pensiero di fondo, non provo nessuna simpatia per il movimento "naturalista" (il pensiero di fondo e non le espressioni... che non sono certo naturaliste.... allattare al seno non è né scientista né naturalista ma semplicemente affari di chi il latte lo produce e di chi lo succhia).

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  6. Naturalismi, ecologismi e maternalismi sono a loro vota reazioni a problematiche estremamente pesanti e tuttora irrisolte, e non riconoscerlo è per l'appunto particolarista e irresponsabile... secondo me.

    Ma certo Tullia. Anche il nazifascismo è stata una reazione al comunismo e alla crisi tedesca e italiana. ma questo non significa addolcire il giudizio. E il mio, sul naturalismo applicato alla maternità, educazione, puerperio, è durissimo.

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  7. i vantaggi dell’allattamento sono stati evidenziati da diversi studi
    Già... dimenticavo... oltre al dogma di Santa Madre Natura c'è quello degli studi.. le EBM.
    Che poi è curioso come i paladini delle EBM non siano gli "scientisti" ma proprio i "naturalisti".

    "Che sul materno si parli con toni o bianchi o neri è altrettanto vero."
    E non credi che sia urgente e necessario smetterla?


    certo che si dovrebbe smettere... ma come si fa? Quando le scelte individuali (allatatre al seno o misto o con bibe per es) diventano questioni di politica sanitaria?
    Quando l'Istituto SUperiore di Sanità ci spiega che il dolore nel parto è empowerment?
    Quando la Badinter viene criticata così aspramente? Come se stesse mettendo in pericolo l'allattamento materno?

    Che poi la Badinter lo dice... le politiche a sostegno della maternità hanno esiti differenti a seconda ANCHE delal storia di quel paese.

    Non è che le Svedesi allattano di più perchè vivono l'evento con più naturalità.
    Non è che la naturalità di una cosa ce la rende più piacevole o augurabile per forza. Anche se questo è ormai un pensiero piuttosto diffuso.... anche su GC.

    La Badinter parlando proprio di svedesi e francesi, faceva semplicemente notare come storicamente alle sue compatriote non fregava granchè di allattare al seno.

    Ed è così anche oggi. Non mi pare un dramma.... o si deve puntare per forza all'allattamento naturale con % bulgare?

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  8. "Per me invece - più banalmente - è l'espressione di due sensibilità/simpatie (le mie e le tue) diverse."

    E' verissimo :) ed è legittimo che le proprie posizioni rispecchino anche le sensibilità personali. Però. Però un conto è essere freddine verso la tematica ecologista, per centomila ottime ragioni personali e non. Un'altro discorso è paragonare il naturalismo al nazifascismo. Quali elementi giustificano un paragone così iperbolico? A me pare proprio nessuno. Il fatto che il naturalismo concettualizzi "il naturale" e lo proponga come valore (discutibili cose entrambe) non equivale a dire che lo postula come un dogma. Così come affermare che il metodo scientifico è un paradigma valido non significa dire che la scienza è un dogma. Sono punti di vista che non devono essere considerati contraddittori, ma complementari. Servono a ragionare nella contingenza, a dare un senso codificato alla realtà che viviamo. Il naturalismo, anche in puericultura, così come l'ecologia, propone moltissimi argomenti validi e urgenti. E' vero che esiste un senso diffuso di smarrimento davanti ai bisogni di un bambino. E' vero che lo stile di vita che conduciamo non sempre ci consente di goderci la genitorialità. E' vero che questo va a scapito della serenità della famiglia e dei figli. E' vero che bisogna recuperare l'ascolto, la sapienza corporea. Sono cose vere, vissute ed esperibili, che non minano né la legittima rivendicazione dei diritti, né la fiducia lucida (non devozionale) nella scienza. Non è questione se sia un dramma o meno allattare col biberon o con la tetta. E' questione del fatto che scegliere il biberon può essere l'equivalente di scegliere l'automobile e il fast food. Se tutta l'umanità si interroga sul costo di sostenibilità degli attuali stili di vita, cos'è, le donne sono esentate per partito preso? Che razza di femminismo beota è questo? Non è che un gruppo sociale, per rivendicare i suoi diritti, deve assumere atteggiamenti capricciosi e infantili. Le donne di oggi non è certo di questo che hanno bisogno. E credo, molto onestamente, che la tua idiosincrasia verso certi temi appanni la lucidità del tuo giudizio.

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  9. Però. Però un conto è essere freddine verso la tematica ecologista, per centomila ottime ragioni personali e non. Un'altro discorso è paragonare il naturalismo al nazifascismo. Quali elementi giustificano un paragone così iperbolico?

    Oddio Tullia, non farai mica come la Bortolotti? Io non ho paragonato il naturalismo al nazifascismo. Ho solo fatto presente - seguendo il tuom ragionamento - che tante correnti di pensiero nascono da reazioni a problemi e cambiamenti!
    Il nazismo e il fascismo nascono come argine alla Rivoluzione d'Ottobre e a mille altre ragioni. Tutto qui.
    Esattamente come la maternità naturale (che guarda al passato, alla biologia, alle ebm, alla Natura) nasce da un malessere e una crisi d'identità delle donne.

    Altra cosa. La scienza può essere un dogma eccome (vedi Popper).

    E' questione del fatto che scegliere il biberon può essere l'equivalente di scegliere l'automobile e il fast food. QUesto lo èensi tu nell'ottica riduzionista dello scontro Naturale vs Artificiale.

    Io credo che come al solito fraintendi il mio ragionamento e che ci sia una sorta di rifiuto a comprendere le mie ragioni. E quelle della badinter.

    Mettiamola così: le madri e i genitori non hanno più diritti di tanti altri cittadini ad una vita affettiva piena. Il fatto che un genitore sia chiamato a crescere un bambino non lo rende diverso da altri individui.

    Le madri non sono insostituibili (cosa che il pensiero naturalista faytica a cpomrendere).

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  10. Pur consapevole delle criticità che questo discorso comporta, ritengo che l’errore risieda proprio nell’approccio quasi “lobbistico” dell’autrice, che se può essere comprensibile (anche se non necessariamente condivisibile, né necessariamente efficace) come parte di una strategia politica adottata da attori politici, in un modello teorico di tipo filosofico comporta solo un appiattimento tematico rispetto a complessità che non possono essere eluse, né nelle teorie di genere, né nella discussione pubblica, né nella definizione di pratiche e proposte di intervento.

    QUesto passo mi risulta oscuro nei termini (lobbi, strategie politiche) e nel significato.
    La Badinter registra quello che accade in tutto il mondo: a ogni crisi economica coincide un'impennata della disoccupazione... femminile in gran parte.
    La fortuna del pensiero naturalista sta nel confortare chi resta a casa e ha un compagno che la mantiene (vedi la pagina della Bortolotti che pullula letteralmente di mamme "fortunate", che sono state licenziate al secondo figlio ma che ringraziano il cielo perchè hanno scoperto le gioie della maternità).

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  11. "Mettiamola così: le madri e i genitori non hanno più diritti di tanti altri cittadini ad una vita affettiva piena. Il fatto che un genitore sia chiamato a crescere un bambino non lo rende diverso da altri individui."

    E' precisamente questo il mio punto. Le problematiche che bisogna porsi come femministe sono le stesse che bisogna porsi come persone e come cittadini. La prospettiva naturalista tu la demonizzi, ne vedi solo gli esiti più estremi, superficiali o deteriori, ma non è tutta come tu la vedi. Devi pensarla come prospettiva, esattamente come l'ecologismo: tu fai la raccolta differenziata e vai in bici, no? Beh questo non fa di te una fanatica alla Greenpeace :) allo stesso modo riconoscere i vantaggi dell'allattamento non equivale a fare del terrorismo sulle donne (anche se sì, certo, esiste chi intende la questione così), citare le ebm e gli studi non significa attribuirvi certezza di fede, perché anche un 'naturalista' può ben comprendere che uno studio può essere contraddetto da un altro studio. Tu critichi chi si rifà alle ebm, ma a brandire la scienza come una clava ci sono entrambe le fazioni quando scendono nell'arena politica: i teorici militanti dell'attachmenti parenting con gli studi sull'allattamento da un lato, gli antinaturalisti dall'altro con l'appello a non far avvicinare a un ospedale alcuna pratica che non sia validata dagli studi positivi. Abbi pazienza ma è evidente... Mentre è possibile parlare di scienza (o goffamente provarci chi, come noi, scienziato non è) in modo curioso e dubbioso, in modo stimolante, non per portare acqua al proprio mulino.

    Il discorso che ti appare oscuro significa questo: il femminismo come movimento politico può adottare delle strategie, più o meno discutibili, per ottenere determinati scopi, ad esempio le quote rosa, concettualmente sono un'aberrazione ma c'è chi le ritiene utili strumentalmente in vista del fine di accrescere la partecipazione femminile ai processi decisionali. Sull'utilità di una strategia si può concordare o meno. Un filosofo (una filosofa) a mio avviso non dovrebbe ragionare in termini strategici ma puramente filosofici, e Badinter non lo fa. La sua analisi è condizionata dalla sua concezione politica e ne risulta inaridita, la porta a trascurare sia contenuti che stili di ragionamento. E ho già scritto a più riprese come e perché.

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    1. Mah, io penso che a te la Badinter non piaccia e l'accusi dei "crimini" più assurdi. Essere filosofi non vuol dire non avere posizioni precise e anche pratiche.
      Per come ti leggo mi sembra che sia tu a ridurre tutto a doppia fazione.

      Vedi, non solo faccio la differenziata, ma non ho la macchina e mi muovo in bici. Mio figlio e io non mangiamo schifezze, l'ho allattato al seno... ma sono solo accadimenti della mia e sua vita. Non ne faccio una bandiera.

      Demonizzo solo chi mette allattamento, ecologia, pannolini lavabili, alto contatto, niente vaccini ecc... in uno stesso calderone.

      Detto questo, sulle EBM c'è tutto un mondo di scienziati, sociologi, filosofi, cittadini che dibatte da anni. Il fatto che tu ignori certe discussioni non vuol dire che la scienza e le sue evidenze non siano da discutere (ancora una volta popper o federspil).

      La Badinter affronta una questione che i movimenti naturalisti manco si pongono. E' l'unica in questo mondo di maternità idealizzate a spendere una parola per le famiglie monoparentali... ad esempio.

      Non solo non trovo la Badinter arida, ma la trovo intelelttualmente onesta, pratica, poco incline a perdersi dietro sogni o visioni oniriche.

      Insomma a me piace, la sento umanamente vicina al mio modo di vivere e vedere il mondo. E pure gli uomini. Che per me non sono altro da me e che hanno molte cose in comune con il mio "essere donna".

      La Badinter non è egualitaria, dice semplicemente che non ci si deve focalizzare sulle presunte differenze di genere ma partire da ciò che ci accomuna. E il latte artificiale è qualcosa che può liberare la madre dall'accudimento del figlio e delegarlo ad altre persone (padre, amici, parenti, nido).

      Il latte artificiale equivale al fast-food? Veramente un biberon di latte in polvere fa gli stessi danni di un hamburger fritto con salse di dubbia origine? O è solo uno dei tanti modi per demonizzare e sconsigliare una pratica che può per alcune coppie essere addirittura migliore dell'allattamento al seno?

      NOn lo sarà per il neonato (il latte di mamam è sempre il migliore no?), ma non è che l'artificiale è veleno e lo si condanna allìobesità e alla cardiopatia sicura.
      Insomma, come dice la badinter: mamme rilassatevi e non torturatevi.

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  12. Mi introduco in questa performance di cappa e spada tra voi due :-)
    Come ho già scritto, il libro della Badinter mi trova d'accordo su moltissime cose.
    Però, a parte una serie di sciocchezze che dice su doule e parto in casa (complice anche una traduzione mal fatta), ho una sola, vera critica da farle. Mi è sembrato di fare un salto all'indietro nel tempo, quando il movimento delle donne vide nella lotta per avere gli asili Nido, la parità domestica e sul posto di lavoro, il diritto all'aborto, le sole battaglie su cui concentrarsi. La maternità rimase perlopiù esclusa, come fosse una scelta involuta e regressiva, di cui valeva la pena occuparsi solo per liberarsene il più possibile. Così, abbandonata a sé stessa e a sparuti gruppi di battagliere, la maternità rimase sguarnita di pensieri, idee, discussioni, diventando terreno di pascolo di ideologie che ricacciano la donna nel ruolo materno come massima realizzazione possibile: madre dedita, tutta enfasi, estasi e gioia.
    Non ho trovato nella Badinter alcun accenno a questo “peccato d'origine”, e mi è sembrato anzi che non faccia che ribadire le stesse cose: Nido, lavoro e biberon. E questo mi ha davvero deluso. Possibile che non avesse nulla di nuovo da aggiungere? Possibile che non consideri anche questa una delle ragioni che hanno favorito quella che lei chiama, direi giustamente, "la santa alleanza dei reazionari"?

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    1. Marzia sono d'accordo, molto d'accordo. E mi appare anche ovvio che occuparsi di maternità non significa non occuparsi di paternità e quindi di genitorialità. Secondo me oggi sono più diffuse, vivaddio, una coscienza e una sensibilità pedagogica sia tra le madri che tra i padri, anche se questi hanno ancora il grosso della strada da fare. Ma passi avanti se ne vedono ogni giorno, e anche grazie alle madri che attivamente rivendicano e sensibilizzano.
      Una sola cosa non capisco di quel che dici: la distruzione che fa Badinter di doule e parto in casa non è molto mirata, Badinter spara nel mucchio di quello che ai suoi occhi è il calderone maternalista e naturalista. La traduzione, temo, non c'entra nulla. Se tu credi che proprio le doule e il parto in casa si differenzino dal calderone e concordi su tutto il resto che dice la filosofa... beh vorrei che mi spiegassi come ciò avviene.

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    2. Per economia di tempo, metto direttamente il link con il post sul libro di Badinter:
      http://marziadoula.blogspot.it/2011/12/la-doula-legge-elizabeth-badinter.html
      Tullia, tu dici una cosa assolutamente incontestabile, ovvero che esiste un senso diffuso di smarrimento davanti ai bisogni di un bambino. Anche di fronte a chi di quel bambino si prende cura, aggiungerei. Il problema è come interrogarsi su questo smarrimento senza alimentarlo...è dunque una cosa da farsi con il gusto delle sfumature e con un pensiero aperto alle diversità.
      Badinter spara nel mucchio del calderone maternalista e naturalista senza andare troppo per il sottile...

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  13. Io invece credo che non di maternità, ma di genitorialità bisognberebbe parlare.
    Il vecchio femminismo è quello che si è battuto per il congedo di maternità pèagato, per le ore di allattamento pagate. Non mi sembra che il peccato d'origine abbia dimenticato il diritto delle madri.

    E' ora di fare 2 passi avanti. Smetterla di vivere il rapporto con il neonato come esclusivo della donna. C'è una madre, ma c'è anche un padre (se c'è).

    La donna solo perchè resta gravida e allatta deve avere il diritto, sparo, di stare a casa con il neonato fino ai primi due/tre anni di vita? E il padre?
    In questo paese i congedi di paternità esistono ma solo uno sparuto numero di padri li chiede.

    La Badinter è chiarissima su questo punto e io condivido il suo pensiero. Come pure condivido la sua esortazione all'indipendenza economica delle donne.

    Non credo che la colpa sia della Badinter o del vecchio femminismo se oggi ci ritroviamo circondate di torquemada della maternità. La colpa è delel donne tutte.

    Voglio provocare... crescere un figliuo e lavorare è un'immane fatica. E se ci stanca troppo la voglia di mollare arriva prima o poi. Così queste donne che al secondo figlio perdono il lavoro e non lo cercano... per molte non è sicuramente una scelta. Ma quante ripiegano in casa, nella cura dei figli... perchè tanto c'è il maritino che porta i soldi in casa? Così nienbte più salti mortali... ed ecco la "conciliazione" che alla Badinter non piace.

    Le donne dovrebebro chiedere - qui in Italia - maggiore collaboirazione da parte dei maschietti nella cura di prole, vecchi e casa. Dovrebebro imparare a delegare la cura dei figli senza ossessionarsi troppo.
    Certo, poi chi vuole può fare la mamma a temopo pieno... lòa casalinga.. ma riflettiamo sul fatto che un papà a tempo pieno o un casalingo è, per ora, semplicemente un disoccupato o uno scansafatiche.

    Quello che sto tentando di dire è che si rischia di cementificare un modello di maternità cucito su presunte necessità biologiche o "di genere". Insomma la pillola anticoncezionale ha cambiato il rapporto fra i sessi, la vita sessuale delle donne... possibile che tutto quello che la modernità può offrire a una madre per alleggerire il peso (sì il peso, per chi lo vive così) delle cure del pupo viene letto in chiave negativa?

    Il biberon non va bene perchè è come dare un cheesburger al pupo. il ciuccio non va bene meglio la tetta, il pannolino usa e getta nemmeno (meglio lavarli a mano o in lavatrice).
    Ma insomma! Ma siamo arrivate a questo punto?

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  14. Sì, appunto. Badinter ce l'ha tanto con la Svezia, perché è molto delusa dal fatto che le donne svedesi, con quel popopò di Welfare e i congedi obbligatori pure per i padri, esibiscano percentuali di allattamento così alte e preferiscano il part-time. Ma come, donne! Vi esorto a essere economicamente indipendenti! Che se non lo siete - è l'assordante sottotesto - non siete vere donne, perché vere donne si diventa, come diceva la mia madrina Simone (che si rivolta nella tomba)...

    Se è talebano esortare le donne ad allattare, allora è talebano anche esortarle a lavorare fuori casa. Ma le vie di mezzo, le libertà individuali, la pacifica convivenza e il confronto pluralista proprio non vi piacciono?

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  15. Beh.... cerco di dire qualcosa.... se volete trasferirvi un attimo nel mio blog...
    http://marziadoula.blogspot.it/2012/03/la-memorabile-stagione.html

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  16. ma vivaddio! L'idea che la Badinter sia delusa dall'alta % di allattamento al seno svedese è un'interpretazione di Tullia.

    Io ripeto che un uomo che sta a casa a fare il padre a tempo pieno èn visto - dalla svezia al congo belga - come un disoccupato.
    Alle donne fa comodo avere la terza via, quella della madre e/o della casalinga, così si evitano l'"onta" della disoccupata o della nullafacente.

    Ripeto, la madre non è insostituibile. Qualcuno invece, per paura di perdere qualcosa non accetta che possa essere anche così.

    Qui non si tratta di mascolinizzazione. ALtrimenti pure la pillola ci ha mascolinizzato tutte. Se potete allegramente decidere se saltare da un letto all'altro senza lò'incubo di una gravidanza, lo dovete a qualcosa che non esiste in natura. Perchè la natura prevede che l'uomo insemini quante più donne possibili e non vale il contrario.

    Certo che c'è da rianere deluse. Perchè le donne sono perennemente vittime del ricatto del neonato (come dice la badinter). Ricatto che fa presa ovunque. Anche in Svezia.

    Poi certo, a chi non farebbe piacere stare coi figli? Ma allora vale anche per chi figli non ne ha e magari vorrebbe vedere più spesso gli amici, o i parenti...

    E allora torniamo al fatto che l'unico affetto ricvonosciuto e tutelato è quello dei genitori per i figli (giustamente). Ma questa visione è colpevole del fallimento dei pacs ad esempio... ci ricordiamo quando la Bindi disse che un nucleo familiare può essere anche quello di due sorelle anziane che vivono assieme e si sostengono l'un l'altra?

    Ma finchè ad avere l'ultima parola è la Natura e non la Ragione (o il Buon seNSO, chiamatela come volete voi) sarà veramente dura che questa società evolva verso la parità e la dignità di tutti.

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  17. Alle donne fa comodo avere la terza via... Ma ti leggi come scrivi? Nelle tue parole un diritto rivendicato da duecento anni di femminismo diventa un capriccio. Sai che mi ricorda? Il discordo di chi dice che l'epidurale non è un diritto ma un lusso. O meglio ancora, lo sdegno del ginecologo che paternalizza le donne: che, volete la sicurezza dell'ospedale ma anche la possibilità di travagliare in acqua e avere un contesto e una compagnia che favoriscano la concentrazione e la serenità? Ah bella ma che vuoi, la botte piena e la moglie ubriaca? È l'ospedale tesoro, mica un party!

    E poi: ma quale interpretazione, il messaggio di Badinter emerge chiarissimo: bisogna essere economicamente indipendenti ergo la donna che sceglie di appoggiarsi al marito almeno in parte è da disprezzare, e se questo avviene grazie anche a delle politiche ad hoc... Beh siete delle ingrate!

    Non è vero che l'unico affetto tutelato è quello genitoriale. Lo è anche l'assistenza a un genitore anziano o a un parente disabile. Si chiamano servizi di cura. Si riferiscono agli individui parzialmente o completamente dipendenti da un adulto sano. Ed è ovvio che i diritti delle coppie di fatto vanno rivendicati nella stessa uguale logica. Io sono convinta che sia così e per affermarlo non sento nessun bisogno di sminuire i bisogni di un bambino piccolo. Non sento di doverlo fare nemmeno per affermare la parità e l'interscambiabilita dei ruoli di cura genitoriale.

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  18. "Alle donne fa comodo avere la terza via... Ma ti leggi come scrivi? Nelle tue parole un diritto rivendicato da duecento anni di femminismo diventa un capriccio. "
    Péerchè, le femministe da 200 anni rivendicano il diritto a farsi mantenere dal marito?

    i bambini hanno bisogno solo della madre?
    Lutlia mi dispiace, ma una donna che decide di non lavorare lo fa per la famiglia. Un uomo che sceglie la stessa strada è semplicemente uno scansafatiche.

    E certamente l'indipendenza economica ti para le terga dAlle incognirìte della vita.
    Il tuo compagno non è eterno anche se si spera che viva a lungo. Potrebbe chiedere la separazione, perdere il lavoro (visti i tempi). L'elenco è lungo.
    Lavorare ti permette di vivere una vita indipendente senza dover chiedere. L'indipendenza economica è auspicabile ma la Badinter non disprezza nessuno. Sei tu che leggi questo sentimento.

    Non penso nemmeno per un secondo di cancellare le conquiste fatte in anni di dure battaglie. Ma non smeniamola con il fatto che il neonato ha solo bisogno della madre fino ai tre anni (oggi gli esperti puntano a tantoi).
    Guarda io vivo ogni giorno le carenze di aiuto alla famiglia. Sono una madre separata con un figlio a carico. Conosco benissimo i miei diritti e quello che il comune e lo stato può elargire. E non basta mai.

    Mi va benissimo èprolungare i congedi di maternità e paternità fino al secondo anno di vita del bambino. Ma mi sta meno bene se le statistiche mi dicono che a prenderli sono quasi sempre le madri.

    Spero di essermi spiegata meglio.

    Un'ultima cosa. I bisogni di un bambino piccolo... tra l'elenco immagino che la prima voce sia lei, la madre, l'insostituibile. Ecco, io su questo punto avrei molto da dire.

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    1. Le femministe, specie all'origine del femminismo ma poi sempre, si sono battute perché lo Stato (la collettività quindi) si facesse carico in parte del loro lavoro domestico. L'ideale è poter scegliere, trovo ingiusta una legislazione che induca le donne a stare a casa ma anche una che forzi la decisione di stare sul mercato del lavoro. Il Sogno è che le opportunità siano davvero Pari e che quanto detto sopra valga identicamente anche per i Padri. E' verissimo, conviene essere indipendenti, si divorzia, ti capita un marito stronzo o semplicemente l'amore finisce, o ancora per molte amministrare i denari guadagnati dal partner è una forma di sudditanza anche psicologica. Ma non per tutte. Se c'è rispetto della reciproca dignità e senso di alleanza, nulla di male a voler fare la casalinga mentre il compagno 'vince il pane': divisione dei ruoli. E certo è bello anche il contrario, oggi a volte succede, è rarissimo ma sempre più spesso. Che un divorzio non è light (né economicamente né emotivamente) nemmeno per due che sono indipendenti, si tratta di riorganizzarsi la vita. Ma è ovvio che un'ideologia che spinge le donne a casa esiste, io sono d'accordo con te su questo. Sui bisogni di un bimbo piccolo io non sono una psicologa e ho solo l'esperienza personale, soggettiva, unica e irripetibile più l'osservazione di altre famiglie e secondo me dal punto di vista del gender, i genitori sono interscambiabili praticamente su tutto. L'allattamento è ovvio, può farlo solo una madre, e io credo che allattare sia un valore. Ma non un valore assoluto. Se una madre non vuole o non può, ci sono altri millemila valori che può 'elargire' al pargolo e dunque ben venga un biberon che rasserena tutti, bimbo incluso. Tra i 'bisogni' annovero il contatto corporeo e la capacità di ascolto, per esempio: beh, entrambi possono essere magnificamente assolti da un padre. Certo, sia una mamma che un papà possono difettare di entrambi, giacché non siamo perfetti come esseri umani, è non è possibile stabilire deterministicamente se e quanto e come ciò eventualmente danneggia il bimbo. Ma si può e si deve dire però, a mio avviso, la verità: che quel padre, o quella madre, difetta su quel punto. Si dica senza tante pare e se si può si lavori a migliorarsi, se non si può si compensi altrimenti, e in ogni caso ci si assuma le proprie responsabilità, che è cosa ben diversa dal coltivare i sensi di colpa. Da genitori, come in tutti gli aspetti della vita.

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  19. Aggiuntina: la capacità di un padre di accudire il figlio è secondo me legata all'indole, ma ancora di più all'educazione che ha a sua volta ricevuto assieme al contesto sociale e culturale in cui è cresciuto. Se sua madre (sempre lei!) l'ha cresciuto convincendolo che una femmina gli avrebbe rifatto il letto, stirato le camice e sfornato figli che si sarebbe cresciuta per conto suo; se un padre, per di più, gli ha inculcato il sentimento di una virilità macha, che reprime le emozioni, non sa gestirle né nominarle e deve vergognarsene, difficilmente si consentirà di sviluppare quel po' di empatia necessaria a relazionarsi a un bambino e assumere un atteggiamento 'di cura'. La società, beh, fa il resto.

    Su Lipperatura da tempo il discorso è passato dalla violenza degli uomini sulle donne, alla necessità di fare educazione sessuale nelle scuole insieme con i genitori. Educazione sessuale non è solo come nasconi i bambini, è rispetto per l'altro sesso, è educazione al dialogo, è smascheramento dei falsi miti. Io credo che questo sia molto importante.

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