martedì 8 maggio 2012

L'epidurale e gli altri diritti del parto

In Italia sappiamo che l'epidurale è disponibile solo nel 16% di ospedali (il dato non è aggiornatissimo ma pare sia l'unico disponibile). Tra i tristemente pochi che ne rivendicano il diritto, c'è chi tende a opporre la comprovata scientificità di questa tecnica partoanalgesica alla dubbia scientificità del discorso "partonaturalista", ovvero quello che insiste sull'importanza del "parto naturale", discorso che, dal canto suo, tende a osteggiare l'epidurale e la medicalizzazione del parto tout court anche in contesti di rivendicazione del diritto alla salute e all'autodeterminazione delle donne. 

In questo post cerco di spiegare perché, dopo aver letto quanto più potevo capire da non addetta ai lavori e da semplice cittadina con una formazione umanistica, mi sono convinta del fatto che l'epidurale garantita e gratuita e il parto umanizzato debbano essere oggi due obiettivi sinergici e non contrapposti l'uno all'altro.

In realtà il movimento per il parto naturale negli ultimi decenni ha sempre utilizzato argomenti scientifici. Anche tentando di "scientificare l'amore", come Michel Odent, cioè cercando di misurare e classificare alcuni eventi emotivi legati a processi biochimici che intervengono nel parto. Si tratta in quel caso di teorie scientifiche contro teorie scientifiche. Oppure, ha fatto spazio a teorie e pratiche pseudoscientifiche, come quelle provenienti dalla medicina non convenzionale, o non scientifiche, come quelle legate alla spiritualità o alla filosofia.

Il parto medicalizzato, cioè quello in ospedale, ha ridotto drasticamente i numeri della mortalità neonatale e puerperale. L'impiego di tecniche scientifiche salva migliaia di vite e ne migliora altrettante. E' un fatto incontrovertibile, che chi crede a un "naturale" contrapposto a un "artificiale" e sempre e comunque migliore di questo, dovrebbe a mio avviso riconoscere.

Ciò vale per il parto medicalizzato, per la contraccezione, per le tecniche di riproduzione assistita, per il diritto all'aborto legale, per gli analgesici in generale e ovviamente anche per l'epidurale. La tecnica partoanalgesica, come qualsiasi pratica medica, non è esente da possibili effetti collaterali e non è perfetta né pretende di esserlo, dato che, come tecnica scientifica, è sempre correggibile e migliorabile. Tuttavia essa, così come viene proposta oggi in Italia, è già estremamente utile ed efficace per tantissime donne che ne fanno richiesta, e l'idea che la percezione stessa del dolore, sedata dai farmaci, svolgerebbe un ruolo insostituibile e utile al parto, appare come un pregiudizio infondato quanto diffuso. Forse dovuto, più che a condizionamenti religiosi o culturali, semplicemente al fatto che per millenni e fino a poco fa tale dolore era inevitabile. Così come è un'idea sbagliata il fatto che sia dovere delle ostetriche proporre, in corso di travaglio, tecniche non farmacologiche di controllo del dolore a una donna che abbia chiesto l'epidurale. L'informazione sul contenimento del dolore ostetrico va svolta prima, e non durante il travaglio: in quel momento, fatte salve specifiche controindicazioni mediche, anche la legge dice chiaramente che una donna ha diritto a che le venga praticata la partoanalgesia. E' quindi un pregiudizio infondato anche l'idea che l'epidurale debba esser fatta "solo quando è stabilito necessario" dal medico o dall'ostetrica: la percezione del dolore della donna e la sua volontà sono le condizioni necessarie e sufficienti.

La gestione del parto medicalizzato, tuttavia, è stata criticata negli ultimi quarant'anni da ginecologi, ostetriche e altri operatori attivisti, su diversi aspetti che si possono riassumere con la volontà di "umanizzarlo".

Che significa "umanizzazione"? Significa mantenere le condizioni di sicurezza offerte dalla medicina, recuperando al contempo diversi aspetti della fisiologia del travaglio e del parto, utili al loro buono svolgimento, compromessi da pratiche troppo invasive e addirittura iatrogenetiche, cioè che causano patologie o effetti indesiderati. Significa distinguere, o almeno sforzarsi di farlo, tra fisiologia e patologia.

Il parto umano è pericoloso, naturalmente pericoloso. La sua medicalizzazione è a mio avviso una grande conquista della civiltà. Allo stesso tempo, il parto è un evento fisiologico e come tutti gli eventi fisiologici, specie quelli legati alla sfera sessuale e riproduttiva, è lecito supporre che possa essere fortemente condizionato dalle emozioni di una donna che lo vive.

Nell'atto sessuale, l'accoppiamento riesce soltanto se esiste un certo stato d'animo. Fare l'amore come atto fisico non è possibile per un uomo se non sente desiderio, e può non riuscire se il desiderio è disturbato da ansie o sofferenze psichiche. La donna può essere costretta a un rapporto fisico, ma non può eccitarsi e provare piacere contro la sua volontà. Il rapporto sessuale è un fenomeno fisico legato all'emotività e allo stato mentale. Sarei curiosa di chiedere a un sessuologo fino a che punto la scienza medica è riuscita a codificare in termini chimici e ormonali le reciproche influenze di psiche e meccanismi fisici nel sesso come hanno tentato di fare Odente i suoi colleghi riguardo al parto.

Anche altre funzioni come la digestione o l'attività cardiocircolatoria sono influenzate in modo evidente dalle emozioni.

Quando entrano in gioco emozioni e stati psichici, gli strumenti scientifici a mio avviso non sempre sono già abbastanza affinati da saper offrire risposte in termini di pratica medica. Più spesso, la medicina opera su altri aspetti, tralasciando semplicemente quello emotivo, a cominciare dalla relazione umana medico-paziene oppure ostetrica-partoriente.


Quel che si sta cercando di fare da decenni a questa parte col movimento per il parto naturale, secondo me, è prendere in considerazione un aspetto in larga parte trascurato dalla pratica ospedaliera per provare a offrire delle risposte che ne tengano conto. Se da un lato le cattive pratiche ospedaliere negli anni hanno perpretuato una tradizione di disattenzione pura e semplice a questi aspetti, dall'altro lato i teorici del parto naturale hanno avuto la tendenza a codificare scientificamente questo aspetto, per affermare che esso è sempre e comunque svantaggiato dal contesto ospedaliero.



Può anche darsi che la verità stia nel mezzo, o meglio, altrove: una donna può essere turbata dal contesto ospedaliero al punto da bloccarsi durante il travaglio, o al punto da soffrire più dolore di quanto non ne avrebbe sofferto; ma da quello stesso contesto, un'altra donna può sentirsi invece rassicurata, rafforzata, empowerizzata. Questo è osservabile in modo empirico ed empatico, anche senza analizzare la secrezione ormonale, o senza attribuirle un ruolo assoluto che ai miei occhi pur di profana, difficilmente può avere.

Tuttavia, il fatto che la scienza non sia ancora perfettamente in grado di determinare quanto la paura o l'ansia influiscano sullo sviluppo di un travaglio non significa che dobbiamo considerare il problema inesistente e metterlo in secondo piano rispetto a quanto è invece certamente misurabile.

Questo vorrei dire a chi, rivendicando molto giustamente il diritto all'epidurale, disprezza o minimizza il tema dell'umanizzazione, considerando superflue o secondarie le richieste di sale parto arredate in modo accogliente, pratiche come le vasche d'acqua o i massaggi che mettano a proprio agio e procurino un sollievo anche parziale, attrezzature per assumere posizioni più comode e favorevoli al travaglio.

Allo stesso modo vorrei che i partonaturalisti più irriducibili non minimizzassero i rischi del parto come evento fisiologico (la natura non è benigna, la naturalità non è garanzia di un esito felice!) né la portata del dolore fisiologico, che non demonizzassero la partoanalgesia e soprattutto che non usassero l'empowerment come una prova iniziatica che le donne devono superare per diventare madri.


Sicurezza ospedaliera e il più alto standard che la ricerca scientifica può offrire per le pratiche mediche e farmacologiche sono una conquista su cui non dobbiamo tornare indietro. Ridurre il dolore in modo efficace per tutte le donne che ne facciano richiesta ne è una parte irrinunciabile. Umanizzare il parto per recuperare la dimensione intima, personale e affettiva di questa esperienza è una necessità altrettando grande. Mi auguro in futuro di cominciare a leggere articoli di specialisti che mettono al centro delle rivendicazioni entrambi questi aspetti, e che non si trovino più, come è adesso per la maggior parte, l'uno contro l'altro, rivendicati da partiti diversi e antagonisti.

Del resto molte donne sono già convinte di questa necessità e non comprendono il senso della dicotomia. E il Rapporto Ombra sullo stato dell'applicazione in Italia della Cedaw, la Convenzione per l'eliminazione della discriminazione di tutte le donne, è espressione di questo pensiero.

5 commenti:

  1. Concordo con te! Anche a me urta questa contrapposizione,come se ci fosse un modo (o un luogo) giusto e uno sbagliato per partorire. Ogni donna ha i suoi bisogni, le sue paure, le sue sensazioni in merito e io sono convinta che vadano rispettate.
    Quello che non condivido, invece, è il significato che tu dai al termine "parto medicalizzato", scrivi "cioè in ospedale". Per me si tratta di altro. Un parto in casa con un'ostetrica che rompe le membrane o pratica l'episiotomia è per me un parto medicalizzato. Il mio primo parto in ospedale non lo considero affatto medicalizzato: una volta tolto il monitoraggio che mi avevano messo all'arrivo non hanno più fatto alcun intervento, se non assistere... niente monitoraggio, rottura di acque, episiotomia, flebo, nulla di nulla... per me è stato un parto naturale a tutti gli effetti.
    A mio parere il parto medicalizzato è quello in cui c'è un'interferenza allo svolgimento fisiologico del parto che sia per scelta della donna (epidurale) o che sia per necessità o per incompetenza medica.
    Per il resto condivido... questa guerra tra fazioni fa perdere di vista lo scopo ultimo ad entrambe: il diritto a partorire come si vuole!

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  2. Tullia, questo post e quello di ieri credo che centrino perfettamente il punto. La libertà di scelta, questa sconosciuta. Nel nostro paese purtroppo chiunque si arroga il diritto di sapere cosa è bene per le donne, per il loro corpo. E migliaia di pseudo dimostrazioni scientifiche ad avvalorare una tesi o l'altra, senza che nessuno si ponga il problema della persona, della sua unicità e della sua personale condizione psicofisica.
    E ogni volta il medesimo arrogante tono paternalistico....

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  3. Aggiungo, non solo il diritto a partorire come si vuole ma nel miglior modo possibile! Nessuno dei miei parti è stato come avrei voluto, ma il primo è stato il migliore possibile.
    Elena

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  4. scusate... ma non ci sarà mai umanizzazione del aprto senza diritto all'epidurale.
    Su Odent... la sua teoria sulla scientificazione dell'amore è pura filosofia. Il libro è inconsistente dal punto di vista scientifico.
    La contrapposizione naturale vs medicalizzato se la sono inventati quelli che berciano contro tutte le pratiche mediche (a volte a ragione, a volte a torto... vedi peridurale su richeista materna).
    Non esiste un frointe pro-epidurale e pro-episiotomia e pro-kristeller e pro-induzione ecc... mi sembra talmente evidente...
    Mentre mi sembra più evidente un fronte che non vuole l'ossitocina (e l'ossitocina può servire), non vuole la peridurale su riuchiesta materna ecc...

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  5. @Tiz, per parto medicalizzato non intendo solo la medicalizzazione ospedaliera ma anche quella che si svolga eventualmente a domicilio. Cambia poco. Anche perché la differenza temo non sia così netta, il parto umano è in genere un parto assistito, che tipo di assistenza è medica e che tipo non lo è? Io mi riferisco grossomodo alle procedure standardizzate in contesti ospedalieri, che vengono in parte anche proposte a casa o casa maternità. Il discorso dell'interferenza lo trovo sibillino. Certi interventi sono plateali, d'accordo. Ma a parte questo tutto può essere interferenza. Per me è stata una grave interferenza dover compilare i moduli di accettazione in pieno dolorosissimo travaglio, vomitando quasi sui piedi del dottore alle prese con le scartoffie. A casa forse avrei trovato un'interferenza sentire il chiacchiericcio di qualcuno nella stanza accanto. Io credo che la chiave stia nella serenità della donna, quel tanto che si può essere serene in quei momenti e che varia immensamente da una donna all'altra, e ci sarà la donna che sta serena a partorire da sola in una stanza e quella che sta serena con due camici bianchi davanti a lei a gambe spalancate. Ciò detto, questa serenità è un diritto e un obiettivo, ma è chiaro che non basta a garantire un bel nulla, in termini di buon esito.

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